Il Museo di Arte Sacra “San Giuseppe” di Rogliano espone importantissimi oggetti settecenteschi di produzione napoletana come i raffinati calici, i reliquiari a medaglione e la bellissima croce processionale.

La croce, proveniente dalla chiesa di San Pietro di Rogliano, è entrata nel Museo di Arte Sacra nel 1996, in occasione dell’allestimento di quest’ultimo assieme agli oggetti prima citati.

La croce processionale in argento fuso, sbalzato e inciso in rame dorato (serpente e fascia), è collocata su una base sovrastata da un globo intorno al quale vi è un serpente che addenta una mela ed una fascia posta in maniera trasversale. Sulla parte alta del globo sono sistemate tre microsculture che raffigurano San Nicola di Bari (con abito vescovile, mitria ed un libro in mano con le tre sfere), San Giorgio (con la corazza e la palma) e San Pietro (con il libro e le chiavi). Sul recto della croce è posto il Cristo morto, col capo reclinato, circondato dalla corona di spine e i fianchi cinti da un perizoma drappeggiato. L’incrocio superiore dei bracci della croce è decorato da raggi lanceolati.

Sulla parte alta del crocifisso è posto un cartiglio con un’iscrizione sacra, a rilievo, in lingua latina, Inri. Nella parte posteriore del globo è presente uno stemma papale, di forma ovale, raffigurante cinque monti, sulla sommità dei quali vi è una stella a sua volta sormontata da due chiavi incrociate e da una tiara. Sui lati di esso vi è una croce ed un libro sormontato da tre sfere. Intorno a questo stemma è incisa un’iscrizione in lingua latina «Capit Insiccoli Ecce Mattsspet Georet Nigrvblani».

La croce presenta, su tutta la struttura, una raffinata lavorazione floreale che culmina nelle terminazioni dei bracci.

La stessa reca il marchio camerale, posto sul cartiglio tra le lettere N e la I, «NAP (con corona)/ 783» che ne permette una specifica datazione al 1783.

Il punzone, espresso nella forma NAP con corona e il numero a tre cifre, è in uso nel Regno di Napoli dal 1700 al 1808 (cfr. Catello E./ Catello C., 1973, p. 88), pertanto permette di specificare l’ambito napoletano di esecuzione del manufatto. Non sono presenti, invece, punzoni relativi all’argentiere o al console.

Un lembo della nostra terra comporta due condizioni storiche, sociali edambientali apparentemente contraddittorie: il fiume Savuto, infatti, hapresentato tuttora, sia le caratteristiche specifiche del relegamento, cioèdell'accantonamento isolante e conservativo delle esperienze umane, sia leprerogative che gli derivano dall'essere stato un luogo d'incrocio di vettoricommerciali ed umani (la Via Popillia, Capuam ab Regio); contrassegnato daalcuni noduli nevralgici (nell'antichità, ad esempio, Terina) capaci diaccogliere e smistare merci e modelli.

Anchesul piano strettamente geostorico vanno formulate alcune considerazioni:anzitutto, che la latitudine del territorio del fiume attuale è cambiata,essendo la linea di costa ben mutata già nelle diverse epoche dell'Evo antico,ad anche nel Medioevo e nell'età Moderna, sino ad allontanare sempre più,vistosamente, il mare aperto.

Altrariflessione va portata sul fatto che condizioni ecologiche molto simili aquelle del Savuto esistessero nell'Evo antico lungo l'intero percorso del fiumestesso, quanto meno dal ponte di Sant'Angelo, contrada Lupia di Scigliano (oponte di Annibale), in direzione della foce, che Dionigi di Alicarnasso eStradone già nella tarda antichità designavano come l'approdo dove si cambiava,nel traffico fluviale, di natante e di ciurma. Certe tenaci sopravvivenzeantropiche  per esempio di culture grechee preromane nel pieno dell'età imperiale, nidi di gente impaludata che parlavadiversi dialetti (si nota, nei diversi dialetti lungo il corso del fiume) siregistrano analoghe tra loro, sia che si tratti delle rive del basso Savuto,delle terre comprese nel ventaglio del fiume, sia che si tratti dei territori aNord, cioè in direzione dell'altopiano della Sila.

Occorre,quindi, soffermarsi sui bisogni, sui limiti e sui ritmi che il paesaggio delSavuto ha imposto già nell'Evo Antico ai suoi abitanti e ai suoi frequentatori:anzitutto la ricchezza delle pietre indispensabili all'edificazione, inparticolare pietre che dovevano essere trasportate a dorso di muli. Questasituazione favorì l'organizzazione di fornaci per produrre mattoni e tegole,almeno nei luoghi dove il terreno consentiva il recupero dell'argilla.

Un'altraconsiderazione sul paesaggio antropico del Savuto concerne l'impossibilità dirisalirlo tutto o la lentezza dei movimenti fluviali fino al ponte diSant'Angelo  quindi dei trasporti piùconsistenti ed onerosi a confronto diuna diversa velocità dei mezzi di trasporto animali della terraferma. Bisognainoltre aggiungere a ciò la strategia militare, che voleva il centro urbanodominare dall'alto del fiume, dove crebbero i vici (ossia villaggi che perlivello sociale e monumentale avevano le caratteristiche di piccoliinsediamenti umani).

Masui luoghi più interessanti agli scambi delle merci e dei prodotti, cioè lungola foce, luogo di approdi, le aree disponibili per le operazioni di carico escarico, nonché per lo stoccaggio, l'accumulo e l'immagazzinamento, eranoscarse e limitate.

Ciòcomportava il bisogno (ed il vantaggio) di operazioni sollecite. Se si tolgono,quindi, le ceramiche ed i bronzi di provenienza greca  che si sono trovate sul colle Sabazio, cioèTerina, alla foce del fiume Savuto lemerci che transitavano in questi territori, provenienti da scali lontani, nonavevano sull'immaginario della gente antica del Savuto tempi d'impatto tantolunghi quanto si sarebbe portati a ritenere.

Qualchealtra veduta dobbiamo mutare nel modo corrente di considerare il Savuto cometerritorio umano nell'Evo Antico.

Dobbiamoriformare la persuasione abbastanza diffusa, e mai seriamente discussa, chequel coacervo di specchi d'acqua, e di bracci fluviali, quell'alternanza didossi fossero considerati come luoghi malsani, dove si potevano trascorreresolamente momenti di vita cupa.

Èinfatti certo che la cultura comune considerava questo territorio comeun'entità peculiare, talvolta malagevole da penetrare e da possedere, ma per ilresto non si distaccava da immagini, da modelli, in fin dei conti, di diversimaturati in tempi successivi.

Lacultura antica considerava, infatti, i terreni vicino ai fiumi sotto aspetti inapparenza contrastanti: si credeva ai miasmi ed alle ombre fetide che siparavano dinnanzi al rematore di cespuglio in cespuglio, di ciuffo in ciuffo.

Sirecitava, anche, che un largo fiume circondasse le terre destinate ad estremadimora dei trapassati, tanto che per traversarne indenni lo specchio occorrevasalire sulla imbarcazione di una creatura demoniaca come Caronte.

Maecco che proprio il valicare lo Stige impediva alle anime di perdersi deltutto, ed a qualcuno  che fosse unadivinità come Ercole o che fosse un eroe come Enea, od un cercatore diconoscenza come Ulisse, poteva riuscire di andarvi e di tornarvi, dopo avereascoltato le profezie.

L'acquacheta, quindi, introduceva alla salvezza od almeno alla parola che avvertiva dicome salvarsi nelle vicende avvenire.

Ribaltandoil parametro, e giungendo a conclusioni positive, anzi addirittura serene. Èimportante un passo di Dionigi di Alicarnasso, XX, 15, 5.6, che dice: “Illegname che si trova più vicino al mare e ai fiumi viene tagliato alla radice etrasportato ai porti più vicini senza essere stato segato. E ce n'è abbastanzada soddisfare la domanda di tutto l'Impero per la costruzione sia di navi chedi case”.

L'anticoOcynarus dei greci, Sabatum dei romani, nasce nella Sila, da una serie disorgenti a quota 1400 m., in località Spineto di Destro, dalla fontana delladro. Le prime sorgenti che costituiscono il corpo d'acqua originario sonocirca 37. A quota più bassa, oltre il margine dell'altopiano, dalla massa dellefilladi, scaturiscono altre sorgenti e quindi altri affluenti del fiume. Necitiamo alcune del territorio di Rogliano (CS): Merone, il torrente Cannavino,Mola, Lara e l'affluente Calabrice.

Perparlare delle risorse legate al Savuto, proprio nei pressi della localitàPovarella (frazione del Comune di Rogliano), vi è il lago artificiale a quota1160 m., con un bacino idroelettrico per la produzione di energia e relativacentrale. La centrale e il lago furono costruiti tra il 1921 e il 1923, sullabase della elaborazione di un piano che fin dal 1906 era stato redattodall'Ing. Angelo Omodeo.

Tral'alto corso del Savuto e le pendici occidentali dell'altopiano silano, siestende una zona ricca di storia e leggenda, dalla natura ancora intatta, dovea maggio esplode la ginestra e trasfigura gole e pendii.

Casolarisparsi, antichi borghi arroccati, grigie case di pietra, in gran parteabbandonate e testimoni di antica attività rurale, lungo il suo corso che sisnoda tra curve e pendenze, sotto gallerie di ontani, salici, pioppi, eincorniciato sulla sommità dei costoni da querceti, castagneti, oliveti e fichid'india. Colture, queste, necessariamente disposte a terrazze, data la naturascoscesa del suolo. Un terreno pietroso e secco che è sfruttato da sempre permagnifici e rinomati vigneti (famoso è il vino del Savuto, detto succo dipietra).

Ilfiume è cavalcato da 6 ponti: il primo detto di “Ischia Romana” sulla stataleRogliano-Parenti, crollato tre o quattro volte, e attualmente sostituito da unpiccolo viadotto, nei pressi c'è un altro ponte riedificato dagli spagnoli nel1582, sotto Filippo II e chiamato “Ponte della Balzata”. Prendendo la stradache dalla Balzata (frazione di Rogliano) porta alla frazione “Orsara” delcomune di Marzi, si scende verso il Savuto per poi risalire, ancora, per unaserie di tornanti. Dall'alto si scorge il ponte di “Tavolaria”(Tabula ria). Sulgreto del fiume, in un paesaggio selvaggio e di straordinaria bellezza, si odesubito un frastuono assordante che aumenta man mano che si procede verso Est,cioè risalendo il corso del fiume stesso. Questo è prodotto dalle cascate diCannavino, originate per l'appunto dall'affluente omonimo che, dopo un balzo dicirca 30 m., si butta nel Savuto. Bisogna recarsi personalmente sul posto perapprezzare appieno la bellezza e la suggestività di queste cascate, di cuipochissimi sono a conoscenza, nonostante si trovino a pochi chilometri di uncentro importante come Rogliano, ed a solo un centinaio di metri da una stradarotabile.

Vicinissimosi trova il ponte di Tavolaria, che alcuni storici fanno risalire ad epocaromana. Il toponimo Tabula-ria (cattiva tavola), deriva da una leggenda secondocui, nei pressi del ponte era posta una locanda, luogo di bivacco per iviandanti, i quali, prima venivano fatti ingozzare e storditi dal vino, esuccessivamente uccisi e depredati dei loro averi.

Scendendoil costone su cui si trova Rogliano ed imboccando un antichissimo sentierolastricato di pietre, una volta unica ed importante via di comunicazione cheportava a Carpanzano, si raggiunge un altro ponte storico, quello delle Fratte,che è posto a quota 344 m.slm. In base a studi e raffronti fatti dalla studiosaFloriana Cantarelli, si può ritenere come una ristrutturazione medievale di unponte di origine romana. Lungo circa 22 m., larghezza della passerella 2,80 m.,spallette 45 cm. circa, questo ponte serba la memoria di una roglianese che nel1806, inseguita dai briganti, per non essere sottoposta a sevizie, si coprì ilviso con la gonna, per non vedere il vuoto, e si suicidò nel fiume.

Ilquinto ponte si trova sulla statale 19, fra Marzi e Carpanzano: è chiamatoPonte nuovo ed è stato costruito sulla strada “Militare” poi “Murattiana”(strada fatta costruire da Gioacchino Murat). Successivamente, distrutto, furicostruito più a valle dai francesi. Proseguendo per una strada sterrata, checosteggia il fiume, ci si immerge in un paesaggio caratterizzato da unavegetazione rigogliosa e ormai incontrollata. Proprio qui, una volta, vi eranovasti orti chiamati “macchie”, con pescheti, aranceti che fornivano prodottisaporiti e genuini per il vicino mercato di Rogliano. Ora è tutto in preda airovi ed alla sterpaglia, in certi punti è addirittura difficile scorgere unpezzetto di cielo, a causa della folta vegetazione.

Unavolta, l'ultima metà del Savuto sino al mar Tirreno era affiancata dalla strada“Consolare” o Via Popilia (dal nome del Console Popillio Lenate), e alcunistorici, anzi, specificano che dalla pianura detta “dei Campi di Malito”, inpassato teatro di epiche battaglie, si buttava nel Savuto e scendeva verso ilmar Tirreno. Sotto questo ponte e lungo il corso del fiume si scorgono deiruderi storici: la gente del luogo li chiama “poste” e sono rozze costruzioniin pietra, munite di feritoie. Presumibilmente servivano per “appostarsi”, cioèper avvistare i Saraceni e gli altri corridori, che si narra, risalivano ilcorso del fiume nottetempo, una volta navigabile sino alla sua metà, perinfiltrarsi verso i paesi dell'entroterra.

Incontrasto con l'antico, di cui abbiamo parlato sinora, esiste il moderno,rappresentato dall'ardito viadotto dell'autostrada A3 SA-RC (Salerno-ReggioCalabria), sullo Stupino, un altro affluente del Savuto. Si può dire che oggil'autostrada, detta “del sole”, riveste la stessa importanza che aveva unavolta l'antica via Popilia, sia per gli scambi commerciali che per quelli sociali,ossia per lo sviluppo e per l'affrancamento della zona attraversata. Non perniente esse seguono un itinerario quasi identico, sia per quanto riguarda ilSavuto, sia per il resto del percorso.

L'ultimoponte è quello di S. Angelo, nella contrada Lupia del territorio di Scigliano(CS) e, che la tradizione popolare attribuisce, ingenuamente ed erroneamente,al Generale cartaginese Annibale. Ed infatti nella zona, ma anche nelle guideturistiche, viene additato come ponte di Annibale.

LaTabula Peutingeriana e l'Itinerarium Antonimi, portano a XVIII miglia daConsentia la statio ad fluvium Sabatum, che presumibilmente dovrebbecorrispondere al ponte situato sulla via consolare o viam Regio ad Capuam.Questa attraversava Malito (CS), nella pianura chiamata “dei Campi” (Gian PieroGivigliano, Sistemi di comunicazione e topografia degli insediamenti di etàgreca nella Brettia, Cosenza, 1978) e si buttava nel Savuto.

Ilponte, ad una sola luce, è ormai ridotto in misero stato. È naturale che intanti secoli d'incuria molte opere secondarie siano rovinate; tuttavia resta loscheletro dell'arco, tutto a grandi massi rettangolari di un tufo grigiastro,frequente nella zona di Altilia (CS), sovrapposti solo, e non legati, sembra,con calce.

Chiguarda il ponte con le spalle alla foce, vede a sinistra un corpo avanzato, unaspecie di terrapieno, che in altri tempi doveva ugualmente essere rivestito diun muro a grandi massi, ma che ora mostra la sua struttura interna ad opusincertum.

Anchei parapetti sono crollati, e sul piano stradale, non si vede traccia dicrepidines, cioè marciapiedi laterali (Edoardo Galli, Notizie di scaviarcheologici, in “Archivio storico per la Sicilia Orientale”, anno II, fasc.II).

Guardandopoi  le fiancate, sembra evidentel'intenzione dei costruttori, che era quella di restringere artificialmente,ridurre quanto più era possibile la valle, per oltrepassarla con un soloarditissimo arco. Questo è alto all'incirca 13 m. e largo il doppio, manell'antichità doveva restare sospeso in aria ad una altezza vertiginosa,poiché è risaputo che, fra i fiumi della Calabria, il Savuto è uno dei più notie temuti per piene e devastazioni.

Quindinon v'è dubbio che in più di duemila anni, il fiume abbia colmato una buonametà dell'altezza primitiva. Infatti non si vedono i pilastri, su cui poggia lavolta, poiché sono sotterrati nella ghiaia. Oggi il fiume scorre a livellodella corda dell'arco. Questo interramento, sicuramente, come era nello stiledei romani, può nascondere qualche possibile iscrizione, che può trovarsiscolpita sui pilastri. Scavi accurati da parte della SovrintendenzaArcheologica potrebbero risolvere il dubbio.

Sempresu questo ponte, ricco di storia, hanno trovato la morte: Isabella d'Aragona,caduta da cavallo (pare suicida), ove è stata tumulata nel Duomo di Cosenza inun bel sarcofago, eseguito da maestranze francesi (fatti venire da Chartres),nella qualificazione limpidamente gotica e chartrense, datata e documentata nel1271, a pochi anni dalla data di instaurazione della dinastia degli Angioini;ed Enrico “lo zoppo”, figlio di Federico II.

Vicinoal ponte ci sono i ruderi di un'antica chiesetta dedicata a S. Angelo (che hadato il nome al ponte), e nei pressi si tiene ogni anno una popolarissima eremota fiera di animali e artigianato locale, il lunedì dell'Angelo.

Lecose più interessanti, le scoperte più affascinanti si possono fare, però, soloinoltrandosi a piedi lungo il corso del fiume, che parla di leggende e distoria: il passaggio dei Greci, Cartaginesi, Romani, Bizantini, Normanni edAngioini, Spagnoli, Francesi, Borboni e di Giuseppe Bonaparte che, pare,ricevette il messaggio della nomina a Viceré proprio mentre attraversava questofiume, e per finire di Giuseppe Garibaldi e dei Mille.

Scendendolungo il corso del fiume, vi è una radura piena di vegetazione, rigogliosa conuna infinità di cespugli che rendono il luogo di estrema suggestione.Percorrendo l'Autostrada A3 SA-RC si giunge alla foce del Savuto: da qui sivede che, dopo essere stato attraversato da altri tre ponti di recentecostruzione, quello di Martirano (CZ), della ferrovia e della Statale 18, rendela sua acqua al mare, senza non prima avere irrigato vaste coltivazioni. Neldelta vi si coltivano svariati prodotti agricoli, in prevalenza cipolle,destinati ai mercati dell'entroterra.

Allafoce, il fiume, una volta detto Ocynarus, scorre nei pressi del colle Sabazio,le cui radici una volta erano bagnate dal mare, vi sono i resti di una anticacittà, la quale si presume sia Terina, ed in tempi passati sono state scopertecondotte di piombo dell'acquedotto, con queste iscrizioni: L. APIUS MAGISTERVIARUM.

Licofroned'Alessandria, Isacco ed altri storici dell'antichità, parlando della città diTerina accennavano a Ligia o Ligea, una sirena che fu sepolta nel fiumeOcynarus, il quale fiume, per la sua violenza, veniva definito come: “robusto,e avente le corna di un bue per il suo strepito”.

Gliabitanti di Terina segnavano sulle monete la Sirena Ligia con vicino una tuba euna lira e sull'altra faccia la vittoria alata sedente su uno scranno, con inmano una corona, e talvolta l'aquila con l'iscrizione greca ÔÅÑÉÍÅÏÍ.

Sempresulla Sirena Ligia, Gabriele Barrio, in Antichità e luoghi di Calabria, dice:"Presso Terina morì Ligia, una delle tre Sirene. Presso la foce delSabazio è possibile vedere il suo sepolcro, con una iscrizione greca".

Ilviaggio attraverso il Savuto è terminato, anch'esso ha esaurito il suo cammino.È bello trovarsi verso il tramonto nei pressi della spiaggia di Nocera Terinese(CZ), ove sfocia il Savuto, e godere lo spettacolo dei colori, sentire ilprofumo della salsedine e l'udito per suono prepotente della risacca. Il Savutoha reso le sue acque al mare, così come l'uomo rende la sua anima a Dio!

Scigliano: ponte di Sant'Angelo

Nella foto, in alto: ponte di Tavolaria
nella frazione Balzata di Rogliano

Nasce a 1360 metri e poi giù fino all’abbraccio del Tirreno

Questa è la storia di un fiume: il Savuto, antico “Ocinarus” (che scorre velocemente) dei greci e che i romani indicavano con il nome di “Sabbatus”. Un fiume che ha svolto con la sua valle,nel corso dei millenni, un ruolo importante nella storia della civiltà.

Ne sono testimonianza ancora, fra l’altro i ponti o i ruderi di essi, di costruzione greco-romana che consentivano il collegamento fra le due sponde. La sua sorgente si trova a 1.360 metri di altezza nella località “Spineto di destro” in Sila; dopo un percorso di 50 km il fiume riceve l’abbraccio perenne del mar Tirreno nei pressi di Campora san Giovanni. Lungo il percorso riceve numerosi affluenti,fra cui le acque del Carviello, del Tarsitano, di Vaiano, del Tassitello, del Merone, del Cannavino (che crea una suggestiva e caratteristica cascata), del Mola, del Lara, del Bisirico, del Mentaro, del Carito, dello Scolo ecc. Le acque del fiume in Sila, si riposano per un breve tratto nel lago artificiale denominato appunto Savuto; poi procedono nel viaggio bagnando i territori di Parenti, Rogliano, Santo Stefano, Marzi, Carpanzano, Malito, Scigliano, Pedivigliano, Altilia, Aiello Calabro, Martirano, San Mango d’Aquino, Cleto, Nocera Terinese.

Tracce di itinerari antichi sono sparse un po’ dappertutto lungo l’omonima valle; soprattutto di ponti. Fra questi quello “Alli Fratti”, il Tavolaria, il Musato o Gallizzano ed il famoso ponte di Annibale, nei pressi di Sant’Angelo. Il ponte “Alli Fratti”, come riporta“l’Universo”, la rivista di divulgazione geografica dell’istituto geografico-militare di Firenze - è lungo 22 metri circa, ha la passerella larga m. 2,80 e le spallette alte circa 45 cm. Esso rappresenta una sistemazione medioevale di una costruzione - sostiene la citata rivista - che, anche in base al confrontocon l’altro ponte antico di Sant’Angelo può essere considerato di origine romana. Distrutto diverse volte fu, in epoca recente, ricostruito dai francesi di Murat. A proposito del ponte di Gallizzano, Francesco Antonio Accattatis nel 1749 scriveva: “...Nei pressi di Scigliano si trova il gran ponte di Trivertini, edificato per comunicare il commercio tra Scigliano ed Altilia.Esso dal volgo comunemente vien detto il ponte Musato o di Gallizzano. L’antica tradizione ce lo fa credere opera del conte Ruggieri Normanno. E la magnificenza e maestà del lavoro, autentica questa nostra credenza. Esso è unodei più belli e maestosi ponti della provincia, opera che potrebbe star bene entro il recinto di ogni gran città, anziché in luogo alpestre e disabitato dove si trova. Negli anni passati fu danneggiato alquanto da persona con la speranza di trovarvi dentro qualche tesoro.” Per quanto riguarda il ponte di Annibale, testimonianze di un tragitto, percorso da strateghi militari, il prof. Emilio Barillaro scrive: “...Il ponte fu gittato dai romania servizio della via Popilia nel 203 a. C.; Distrutto dagli stessi costruttori all’epoca della sconfitta di Annibale per arrestare la fuga di costui ed impedirgli di raggiungere il mare e poi ricostruito con lo stesso materiale edilizio e con lo stesso modulo architettonico dei genieri del generale cartaginese per il transito della sua armata”. Ed il Padula in “Calabria prima e dopo l’unità”: “Quel ponte può dirsi l’unico monumento architettonico della provincia. E’ un solo arco colossale della luce di centopalmi che comincia dal suolo e non s’appoggia a pilastri. Vi si ascende per una scaglionata che lascia tra sé e l’arco del ponte un vuoto dove si ricovrano i pastori. Mentre tu sali spesso ti viene all’orecchio uno scoppio di riso;e sono foresi e foresette che ridono sotto i tuoi piedi. Il ponte è di piperno(roccia eruttiva effusiva, n.d.c.) e se ne ignora l’autore. Il volgo lo crede opera del diavolo e crede di vedere sopra alcune pietre l’impronta di sua mano e va a cercarvi tesori”. Sulle condizioni del ponte ai primi del 1900 abbiamo rinvenuto una relazione dell’archeologo Edoardo Galli che così, fra l’altro, lo descriveva: “Il ponte ad una sola luce, è ormai ridotto in misero stato, non però da essere del tutto inservibile. E’ naturale che in tanti secoli d’incuria molte opere secondarie siano rovinate; tuttavia resta lo scheletro dell’arco,tutto a grandi massi rettangolari di un tufo grigiastro, frequente in quella località, sovrapposti solo e non legati con calce. Chi guarda il ponte con le spalle alla foce, vede a sinistra un corpo avanzato, una specie di terra pieno che in altri tempi doveva essere rivestito di un muro a grandi massi, ma che ora mostra la sua struttura interna “incerta”. Anche i parapetti sono crollati e sul piano stradale non si vede traccia di “crepidines” o marciapiedi laterali. Guardando, poi, le fiancate appare evidente l’intenzione dei costruttori di restringere artificialmente, ridurre quanto più possibile la valle, per soverchiarla con un solo, arditissimo arco. Questo è, all’incirca,alto 13 metri e largo il doppio, ma nell’antichità doveva librarsi ad una altezza vertiginosa, poiché è risaputo che tra i fiumi della Calabria il Savuto è uno dei più noti e temuti per piene e devastazioni. (“E’ gonfio di inverno e porta alberi all’impiedi” scriveva il Padula n.d.c.). Quindi non v’è dubbio -conclude l’architetto Galli - che in più di duemila anni il fiume abbia colmato una buona metà dell’altezza primitiva. Infatti non si vedono i pilastri su cui poggia la volta perché sono sotterrati nella ghiaia e come si può notare oggi,il fiume scorre a livello della corda dell’arco”.

Le sponde del fiume Savuto erano anticamente arricchite dalla presenza di torrette, dotate di piccoli sportelli in cima, che servivano per avvisare in tempo gli abitanti della zonadell’arrivo dei Saraceni e dei Turchi che con le loro scorrerie mettevano adura prova la vita tranquilla e laboriosa delle famiglie. Il 13 aprile 1806 Giuseppe Bonaparte, percorrendo il Regno di Napoli conquistato dalle armi francesi, ricevette proprio nelle gole del Savuto un corriere che gli portavail decreto imperiale in data 30 marzo col quale Napoleone lo creava, per diritto di conquista, Re del Regno di Napoli. Nel 1852 Rilliet, chirurgo ginevrino del 13° battaglione cacciatori attraversò la Valle, a capo di una colonna mobile, assieme a Ferdinando II. Queste alcune delle impressioni riportate dal Rilliet: “...Dopo Rogliano attraversammo il piccolo villaggio di Marzi, al di là del quale la strada discende per immensi zig- zag in fondo alla Valle del Savuto che non è affatto meno del terribile Acheronte; essendo l’altro in Epiro. Non si riuscirebbe a farsi un’idea dell’immenso sconvolgimento per il quale queste montagne sembrano qui essere gettate a caso,formando profonde vallate che si incrociano in tutte le direzioni mentre da tutte le parti si innalzano, quasi a picco, masse imponenti di rocce e di montagne in mezzo alla natura selvaggia e grandiosa...”.

E concludiamo riportando un episodio narrato dallo storico Ballandisti: “...Passando il Savuto beviamone l’acqua, ma prima facciamoci la croce. Quando San Francesco di Paola era in Francia, Giovanna Caserta di Altilia fu invasa dal demonio. Fu recata dinanzial sacerdote don Angelo Serra che le chiede: “Chi sei tu?”. “Sono Satana”,rispose l’ossessa e continuò: Io stanziavo in Martorano  e li mi divertivo a rompere le brocche alle ragazze che andavano al fonte per eccitare risse tra loro ed i ragazzi. Un dì ero presso al Savuto; passò costei, si chinò per bere senza farsi la croce ed io, immantinente, le entrai nel corpo”.

Risale al 18 Agosto del 1800, un atto riguardante la costruzione di ben quattro fontane nel comune di Rogliano.

Tra coloro che si presentarono, per avviare tutte le modalità amministrative, giudiziarie e manuali, comparvero: Domenico Morelli, il sindaco di Rogliano, Lelio de Jusi, Antonio Clausi, mastro Carmine Altomare e mastro Francesco Arabia, i deputati del Parlamento, e per finire Rosario Altomare, del fu Nicola, per la costruzione delle stesse.

Chi volle e decise che le fontane dovessero essere costruite fu l’allora defunto Antonio d’Epiro che in un testamento rogato dal notaio Bruno Morelli, nel 21 settembre del 1791<!--[if !supportFootnotes]-->[1]<!--[endif]-->, istituì erede universale il nipote Felice d’Epiro «…e tra l’altro lo gravò di un legato di ducati Mille cinquecento a beneficio dell’università di detta Città di Rogliano acciò se ne fussero custodite quattro fontane dentro l’abbitato di Rogliano suddetta, cioè una col Quartiere denominato Capo la Rota, o sia l’Olivitello, un’altra nella pubblica piazza, altra innanzi l’insigne Collegiale Chiesa Matrice di S. Pietro, o pure in quei contorni, che meglio poteva(?) cadere, e finalmente l’altra nel Quartiere nomato li Patinelli, animandosi de fontane coll’acqua del Podere detto le Manche…», inoltre don Antonio lasciò che gli esecutori testamentari fossero il “…Capitolo e Camerlengo, unitamente colli Regimentari delle …Cedole di Rota, e Spani di questa Città…» per fare in modo che le sue volontà fossero eseguite e per obbligare il nipote all’esecuzione materiale di tale desiderio.

Purtroppo nell’agosto del 1797 lo stesso Felice morì prematuramente, la gravosa incombenza passò quindi ai nipoti, Antonio e Muzio d’Epiro, fratelli ed entrambi eredi per via diretta di Felice.

Già allora il Camerlengo della Chiesa Matrice di Rogliano, aveva lamentato che le disposizioni e i desideri del defunto don Antonio d’Epiro non erano state eseguite, infatti, diversi anni erano trascorsi e dei lavori ancora nulla era stato attuato. Deceduto il nipote Felice fu decisione unanime che la volontà del primo testatore fosse portata a compimento, così venne consultata una persona esperta che potesse compiere un’attenta perizia e che stimasse l’intera somma necessaria alla costruzione delle quattro fontane. «…In fatti Elessero la Persona del Magnifico Domenico Fezza, Capo Maestro Muratore, e Perito di fontane di questa città di Rogliano, lo stesso essendosi prima conferito sulla faccia del luogo del sopradetto podere delle Manche, dove ritrovandosi tutte l’acqua sorgive, che animar dovevano dette fontane, ed essendo le stesse diligentemente osservato secondo il suo mestiere, ha ritrovato esistenti Undici teste di acque sorgive per l’estenzione che camminar dovea l’Acquedotto maestro, cominciando da Pantano di Cervo, fino al suddetto Rione delli Patinelli…» per dimostrare che il lavoro di canalizzazione dell’acqua in un acquedotto poteva essere compiuto, Fezza fece un disegno e calcolò tutta la somma di denaro che occorreva, compreso lo scavo e la costruzione dell’acquedotto, il che significava considerare materiali e giornate lavorative: «…distillatori, calce, pietre, giornate di Maestri, tubi di Creta, terra d’iste per incollare li stessi, ed ogni altro bisognevole per la costruzione di dette fontane, giudicò ascendere l’intera spesa suddetta, nella somma di ducati tremila, cento cinquantadue, e grana cinquanta (3152, 50)». La somma lasciata da don Antonio d’Epiro risultò insufficiente, così si decise che con vendita all’incanto di tale edificazione ci sarebbe stata la possibilità concreta di vedere erigere le sospirate fontane.

I bandi furono emanati ed affissi nella Piazza di Rogliano, com’ era uso.

Gli incanti vennero esposti dal giorno 9 febbraio del 1800 (primo incanto) al giorno 2 marzo del 1800 (secondo incanto), e il primo mastro che si presentò al primo incanto fu Francesco Antonio Crispino; questi avrebbe compiuto l’intera opera per la somma di ducati 3100 con la condizione che l’acqua doveva essere già stata incanalata come nella pianta disegnata da Fezza.

Con il secondo incanto le cose non cambiano: l’unico a presentare l’offerta fu sempre mastro Crispino. Questi, intanto, sicurissimo di doversi preparare alle prossime fatiche, già avanzava pretese e critiche per quanto riguardava la capacità del tubo di creta dell’acquedotto. Secondo Crispini l’ingegnere Fezza aveva fatto male i calcoli, quindi invia una istanza alla Corte di Rogliano, criticando le disposizioni sui tubi che secondo Fezza dovevano essere di mezzo palmo di diametro, egli invece consiglia «…un palmo e mezzo e due pollici di diametro…», esattamente precisa «…tubo capacissimo a formare dodici Fontane abontantissime da un pollice e più d’uno, mentre ogni criterio non puot’essere affatto ne cognizione delli Supplicanti, giacché ignoranti dell’Arte…vale a dire che non ne capiscono in conto veruno le dimenzione, un poco di acqua a campo aperto, che scorre sembra un fiume, ma Se si restringe in un tubo si rende invisibile….».

Il 9 marzo, al terzo incanto, mastro Rosario Altomare fece istanza per presentare una nuova offerta per la somma di ducati 3090, meno di quella presenta da Crispini «…ed in effetti essendosi proceduto al terzo incanto, ed accesa la candela sull’offerta del suddetto di Altomare, niuno volse minorare la di lui Offerta…». Crispini è colpito, non si aspettava un concorrente, decide quindi di presentare «…altra legale istanza …colla quale domandò di vole dilucidato il dubbio allo stesso insorto, se la terza fontana, cader dovea innanzi la suddetta Chiesa Madrice di S. Pietro, in Quella Pubblica Strada, o pura al di sotto detta Chiesa, nel luogo volgarmente detto Via Sottana…», insomma, Crispini, tenta di instillare dubbi e di fare insinuazioni sulle capacità dell’altro mastro ma Rosario Altomare risponde quello stesso giorno alle «ore 21» con una decisa replica «…si bene si fusse spiegato chiaro nella sua offerta la quale non ha bisogno di spiegare a nuova indagine pur non di meno per rimuovere dalla idea del Crispini, qualunque sia la pensata, mastro Rosario Altomare li fa sapere, che la terza fontana si farà nella publica strada di questa città, o innanzi la chiesa Matrice, o sotto al cimitero della medesima Chiesa, dove porterà l’olivello della Correnza dell’acqua, quale sempre però si sente nella parte della Chiesa che sporge verso la città, vale a dire nella parte orientale, e non già della via sottana, questa è stata sempre la sua idea, la quale quantunque l’abbi chiaramente spiegata, e senza equivoci, pure spiegarsi a lettere Cubitali…».

Ma Crispini non è pago e non si ferma qui: valutando i termini della legge per le gare d’appalto cerca in tutti modi di convincere i rappresentanti del Parlamento Cittadino ad affidargli l’incarico, quindi presenta una nuova istanza (8 giugno 1800) di fronte ai Deputati. La sua intenzione è quella di svolgere i lavori assieme al collega mastro Michele Vincieri, e giocando al ribasso i due associati dichiarano che per la somma di ducati 2580 riusciranno a fare l’intera opera, così facendo credevano che in due e con una offerta più bassa la vittoria sarebbe stata loro, ma a questi colpi bassi e soprattutto per difendere la sua professionalità, mastro Rosario Altomare risponde con un’offerta ancora più bassa e dichiara che con ducati 2570 costruirà le quattro fontane «…cominciando detta opra per tutto il mese di Settembre corrente anno 1800, e finirla per tutto Maggio del venturo anno Mille ottocento uno.». A questa ultima offerta l’intero Parlamento dell’Università non può che accettare, in fondo all’amministrazione interessava ottenere una offerta vantaggiosa per le casse cittadine e quindi una situazione che conveniva a tutti i deputati e, d’altra parte, secondo l’uso dell’incanto, nessuno si era fatto avanti dopo l’offerta di mastro Altomare e a “estinzione” della candela, quindi i rilanci erano terminati, e Rosario Altomare venne dichiarato vincitore dell’appalto come «…ultimo licitatore e minore offerente…».

Atto pubblico, per la tutela dei contraenti, venne prontamente stipulato e mastro Rosario Altomare si impegnò a costruire «…con ogni diligenza, cura e vigilanza le sopradette Quattro Fontane…Da principiarne la costruzione delle stesse per tutto il prossimo entrante mese di Settembre Corrente Anno Milleottocento e terminarle interamente per tutto il mese di Maggio dell’Anno Milleottocentodue…».

Questo lavoro diede sicuramente notorietà alla professione di Rosario Altomare, ma anche diversi problemi, allora come oggi il denaro che l’amministrazione gli doveva arrivò in forte ritardo, e lo stesso, il 19 luglio del 1801, fu costretto a protestare presso il sindaco Morelli, Antonio Clausi, Lelio de Jiusi, Mastro Carmine Altomare e Mastro Francesco Arabia, deputati per la costruzione delle fontane, perché si fossero mobilitati a saldare subito l’intera somma per pagare i materiali e i lavoranti.

Un tempo non lontano, nei paesi della valle del Savuto, erano in funzione numerosi mulini che lavoravano attivamente grazie all’abbondante produzione di raccolto (grano, granturco, lupini, castagne, fave), frutto del duro lavoro nei campi dei nostri contadini.

La maggior parte di essi erano posti in prossimità di torrenti e fiumi. Il mulino per essere azionato necessita dell’acqua che, incanalata attraverso una condotta naturale "acquaru", entra nella cosiddetta "sajitta" (una sorte di torre muraria) rovesciandosi sulla ruota molitoria, la quale, sulla spinta dell’acqua, iniziava il suo movimento rotatorio. Il cereale, attraverso una piccola condotta, veniva immesso a poco a poco sotto la macina, trasformandosi in farina.

Nei giorni di macina per la famiglia contadina era una gran festa e tutti i componenti partecipavano intensamente alla “macina”.

Con il passare degli anni l’antico modo di “macinare” i cereali venne sostituito da moderni motori azionati ad energia elettrica.

Oggi, quasi tutti i mulini sono abbandonati, e quel poco che rimane delle vecchie strutture stanno a testimoniare un pezzo di storia di artigianato locale, ormai cancellato definitivamente.

Resti di questi vecchi mulini si trovano nei vari comuni del comprensorio, disposti nelle vicinanze del fiume Savuto e dei suoi affluenti.

Molte delle grosse ruote dei nostri mulini fanno bella mostra in alcuni musei privati e pubblici, altre, invece, sono abbandonate in piena campagna quasi come a sconfessare una civiltà contadina che non c’è più e della quale rimane solo un vago ricordo.

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