Durante i mesi di gravidanza, la futura madre, nelle giornate piovose o la sera al lume di candela, preparava con molta cura il corredino del nascituro. Il neonato veniva fasciato dai piedi fin sotto le ascelle con lunghe strisce di tela, di lino o di cotone per difenderlo dal freddo e nello stesso tempo per dare forme e lineamenti più idonei al corpicino.
Spesso si fasciavano anche le braccia ed il piccolo trascorreva immobile e privo di libertà i suoi primi mesi di vita.
Nel vestire “‘u piccirillu” la giovane madre impiegava molto tempo, tanti erano i capi di vestiario che servivano a coprirlo e adornarlo.
Il primo capo che si faceva indossare al piccolo era “‘na cammisella de cuttune” di color bianco e "na maglicella de ‘ncarne' (una maglietta lavorata a mano), poi “u pannizzu” (una striscia di stoffa bianca che avvolgeva il bimbo fino all’addome), mentre una fascia di cotone o di lino, "u mpassaturu", lo avvolgeva dai piedi fino alle braccia; quindi veniva avvolto da una fascia di cotone bianco o celeste lunga un paio di metri con ai bordi due fettucce che ser¬vivano a legare il corpicino.
Nell’adornare “l’imbalsamato”, la madre gli metteva addosso una magliettina di lana, “‘u jippunellu”, anch’essa lavorata ai ferri, di colore azzurro per il maschietto, rosa o bianco per la femminuccia.
A questo punto il bambino veniva ricoperto dal “sacchicellu” legato in vita da un elastico: esso, ricamato all’estremità, aveva la funzione di soprabito.
A completare l’abbigliamento era “lu papuzzellu” (Marzi) o “capicchiellu” (Rogliano): un pezzo di stoffa all’interno del quale veniva posto dello zucchero e successivamente legato ad un filo cui si dava la forma di un capezzolo. Esso serviva ad abituare il neonato a succhiare il latte materno e nello stesso tempo ad acquietarlo durante i lunghi e incessanti piagnucolii.
Le madri calabresi per difendere il loro bambino dal malocchio mettevano tra le fasce un piccolo sacchettino a forma di cuore “’u brevicellu” con dentro del sale, un po’ di incenso e delle foglie benedette di ulivo e di palma.
In diversi comuni del comprensorio del Savuto, il sacchettino una volta benedetto, veniva cucito all’interno dell’abitino e vi si metteva: un santino, del sale, della paglia benedetta del presepe, una foglia di ulivo benedetta il giorno delle Palme, una foglia di alloro, un po’ di paglia benedetta nel sepolcro, una medaglia di un santo, un piccolo corno di color rosso, un po’ di incenso, un fiore di rosmarino, un pezzettino di corda di campana, due soldi antichi ed un pezzetto di corda del cinturino di un santo.
“U brevicellu” produceva l’effetto desiderato e il bambino cresceva sano e forte tra l’affetto familiare.
E’ viva ancora oggi, in alcune campagne del Savuto, l’abitudine di cucire all’interno dell’abbigliamento del bambino una sorta di “sacchicellu”, una consuetudine che resiste quasi inalterata alla continua e veloce trasformazione della civiltà moderna.