Il termine ninna nanna appartiene ad un genere di cantilene intonate dalle mamme per far addormentare i loro bambini.
La ninna nanna è un componimento breve, di vario metro, perlopiù concettualmente povero e privo di nessi logici; il ritmo è ripetitivo e cadenzato, quasi ad accompagnare il moto della culla. Per quanto di uso universale, essa varia da popolo a popolo e da grado a grado di cultura. Presso i primitivi consisteva nella ripetizione di poche frasi, e si confondeva con i canti o carmi che si recitavano per alleviare i dolori del piccino e per allontanare i demoni dalla culla; presso i popoli civili prendeva talvolta vita e sostanza di poesia. Nelle famiglie povere, il contenuto della ninna nanna era caratterizzato dall’augurio insistente della madre al proprio figlio per un destino favorevole, augurio, questo, causato dalle misere condizioni di vita in cui si trovava la famiglia. Sono queste le ninne nanne che, con ritmo equilibrato, dolce e prolungato, accompagnavano il lento dondolare del lettino fino a quando gli occhi del piccolo si chiudevano al sonno. Nella semplicità dei versi, le madri calabresi invocavano i Santi e la Madonna affinché il bimbo crescesse con la grazia divina.
In passato c’erano due forme tradizionali di culla: la “naca” e la culla a dondolo. Nelle famiglie più povere, il bambino veniva abituato a dormire nella “naca”: un tipo di culla appesa al soffitto, costituita da un pezzo di stoffa le cui estremità erano legate ad una corda, annodata, a sua volta, agli angoli dei muri della camera da letto. La “naca” era collegata da un lato ad una cordicella che la madre si portava appresso e che poteva muovere mentre svolgeva le faccende domestiche. Al primo vagito del bimbo la mamma tirava la cordicella e il piccolo, grazie al dondolio, si calmava e riprendeva a dormire. Essa veniva posta all’estremità del letto dei genitori oppure si appendeva ad una trave del soffitto, sul letto stesso. Era detta anche “naca a volu”, ovvero culla a volo, o “naca a vientu”, perché sospesa dalle corde a due pareti della stanza. In alcuni casi, la “naca” era una cesta di vimini, al cui interno veniva posta una piccola coperta sulla quale si adagiava il bambino, che, legata alle due estremità con una corda, veniva annodata con molta attenzione a due ganci collocati alle travi del soffitto, in altri, invece, era composta da quattro tavole in noce, inchiodate tra loro e appoggiate su due sgabelli.