L’introduzione dell’arte della seta in Calabria si fa risalire al 1147, dopo la spedizione di Ruggiero contro l’impero bizantino. Il perfezionamento dell’arte fu dovuto agli Ebrei al tempo dei Normanni e degli Svevi, quando nelle loro mani era pure l’arte della tintoria.
In uno strumento di matrimonio fra ebrei del 1428, tra gli altri ricchi doni del corredo, abbiamo trovato scritto un “sudariolum sericum coloratum, pannun ex serico confectum, quod vulgo appellatur “a capisciola” (cascame di seta)”.
In tutta la provincia di Cosenza, specialmente nei paesi che avevano il loro sbocco naturale nella vallata del Crati, la coltivazione dei bachi costituiva il cespite principale per la povera gente: il filugello era il solo amico e la sola ricchezza.
Il protettore era Santu Giobbe, in memoria dei vermi che consumarono le sue carni; anzi, a dire delle donnicciole, quei vermi furono i primi parenti dei bachi da seta.
La fiera più importante di Cosenza era quella della Maddalena nella quale si “dava la voce”, cioè il prezzo della seta, accattata dalle altre fiere successive e speciali.
Prendeva nome dalla chiesetta omonima, che sorgeva ov’è oggi la Riforma ed il quartiere dei Rivocati.
Ai tempi di Ferdinando I fu portata da 12 a 15 giorni e si teneva nella seconda quindicina di luglio.
Malito fu uno dei piccoli centri interessati all’allevamento del baco che si produceva in locali bene areati ed illuminati, con temperatura variabile tra i 20 ed i 25 gradi.
Da tali locali, ci hanno raccontato alcune vecchiette del paese, si spandeva per tutta la casa un fetore insopportabile.
Le addette ai lavori si dividevano in “esterne” ed in “interne”. Quelle “di fuori” andavano a raccogliere ‘u pàmpinu, cioè le foglie del gelso (céuzu); quelle “di dentro” badavano, invece, solamente alla nutrizione d’u siricu ed alla pulizia dei graticci e degli scaffali,
Il nemico numero uno d’u siricu era lo scirocco. Alcune donne, per non fare subire alle uova deposte dal baco, sbalzi di temperatura, le mettevano avvolte in pezzuole dentro al petto.
Quando ‘u siricu era pronto per filare, smetteva di mangiare ed incominciava ad arrampicarsi su per i rami secchi di erica o di ginestra detti cunocchia e filando e ronzando formava ‘u cucuddu.
Quando si “scunucchiava”, cioè quando si toglievano i bozzoli dalla frasca, questi ultimi erano di un caratteristico colore rosa pallido. I cucuddi, poi, messi nelle ceste, venivano trasportati a piedi a Cosenza per essere venduti.
La famiglia di don Battista Mancini aveva avviato a Malito una vera e propria industria per l’allevamento dei bachi da seta.