Anticamente la maggior parte delle famiglie, ispirandosi al noto principio dell’ “economia chiusa”, secondo il quale ognuno doveva bastare a se stesso senza dipendere da nessuno (e ciò era anche possibile e facilitato dalla presenza, in quelle numerose famiglie patriarcali, di numerose braccia), la maggior parte delle famiglie, dicevamo, possedeva, negli orti adiacenti le abitazioni, un piccolo forno.
Quando si decideva di fare il pane, tutta la famiglia era “’mmuinata”. Erano giorni, assieme a quelli dell’uccisone del maiale, indimenticabili; pieni di riti e di significato.
Di giorno le donne cernevano la farina e la sera, prima di andare a letto, preparavano “’a levatina”. “Si vo’ videre a fimmina ‘mmuinata - diceva un detto malitese di quel periodo - quannu fa ru pane e ‘avucata”. Le pitte si infornavano e si sfornavano per prime, anche per mandarle in dono ai vicini e ai parenti. Si usava fare anche “’a pitta d’u mortu” così chiamata perché distribuita ai pezzenti a suffragio delle anime dei parenti morti. Poi si passava ad infornare il pane. Quello più buono e più fragrante veniva subito restituito a chi lo aveva dato in prestito. “Pane e levatu se renna miglioratu”, si diceva.
Numerosi erano anche i forni pubblici sparsi per il paese nei cui locali si raccoglievano, soprattutto durante il periodo delle “’ntrite”, numerose donne con i loro figli e dove, molto frequentemente, si raccontavano delle interminabili “rumanze”, soprattutto nei lunghi periodi invernali...!
Fare la “fornara” è sempre stata una misera vita. “Te via fare ‘u furnu”, “Possa io vederti lavorare al forno!. Era questa l’imprecazione più maligna che anticamente si poteva augurare ad una donna. Vediamo come lo scrittore-prete Padula in “Calabria prima e dopo l’unità” descrive la “fornara”. “E’ sempre tinta e non sente mai messa; parla sboccato, bestemmia ed è in continua lite con le “vicennere”. Diconsi “vicennere” quelle che si servono sempre da lei ed hanno il diritto di mandare ad accendere la legna, cuocervi “tielle” gratuitamente e pigliarsi della brace. Se non che nei giorni buoni la stimano”.
La fornaia, infornando pane, riceveva, per ogni tavola, un pane e mai pitte; per ogni dieci biscotti, un biscotto; per ogni infornata di castagne o fichi, uno “struppellu” di castagne o fichi; per ogni dieci filari di “turdigliuni”, un filaro. Altre antiche regole erano le seguenti: chi era prima a servirsi del forno aveva diritto d’obbligare la fornara a riscaldarlo. Il resto delle frasche doveva essere messo da colei che faceva il pane.
Arnesi del forno
Un forcone per spingere le frasche; una pala grande per infornare le pitte; “nu scupazzu” per pulire il forno; un rastrello per tirare la brace; un “ceramile” da mettere sulla brace tirata avanti; la chiudenda, chiamata “tivula” e la rastrelliera per porvi le tavole; “’a majidda per shajanare”.



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