Si avvicina l’anniversario della morte di Eugenio Miceli: dieci anni il prossimo 7 agosto. Un tempo lunghissimo per i familiari e gli amici che non hanno mai smesso di amare questo giovane, scomparso precocemente. Ancora una volta è la madre, la professoressa Raffaela Albo, a chiederci di ricordare Eugenio attraverso il nostro giornale. Lo fa inviandoci lo scritto di un suo caro amico, l’ingegnere Antonio Scarpino, che con Eugenio ha condiviso tanti indimenticabili momenti di vita. Uno scritto finora mai pubblicato, una lettera d’addio a questo giovane, che ha lasciato un segno indelebile nella sua anima. Lo condividiamo con piacere, perché il ricordo di Eugenio possa rimanere sempre vivo in tutti coloro che lo hanno conosciuto.
Un altro dono per te, figlio mio! Questa volta proviene dal tuo amico, l’ingegnere Antonio Scarpino. Conosco anch’io molto bene l’animo di questo giovane che ho avuto come alunno negli anni della sua adolescenza. So quanto vale e so l’espressione del suo cuore, una voce veramente amica che esprime quello che sente con affetto sincero e leale. Un dono, anche questo di Antonio, scritto a tre anni dalla tua dipartita e mai pubblicato! Ebbene, credo che non ci sia occasione più appropriata del tuo decimo anniversario! Ricordo bene la gioia che hai provata il giorno in cui Antonio si è laureato. Eri veramente felice e sei corso a dirmelo, sicuro che avrei accolto, anch'io, la notizia con gioia e profonda soddisfazione, come ex insegnante e, soprattutto, come mamma. Un gesto, il tuo, di grande generosità, che evidenzia i tratti del tuo essere aperto, chiaro, limpido come il tuo viso, smagliante come il tuo sorriso, in un volto, ora più sereno, accarezzato dall'amore di Dio che ti ha voluto così giovane per essere punto di riferimento per quanti soffrono. “Sappiate, specialmente voi che siete nel bisogno, che vivete momenti particolari, che lassù c’è Eugenio. Rivolgetevi a me, quando ne avrete bisogno perché io continuerò a pregare per voi e vi starò sempre vicino, come un Angelo mandato dal Cielo”.
di Antonio Scarpino
Era un uomo buono Eugenio, al netto di tutte le sovrastrutture caratteriali con le quali rivestiva le sue intime fragilità. Era un ragazzo prodigo verso gli altri in maniera innaturale, in maniera sovente ineguale in termini di reciprocità, con chiunque si trovasse con lui a confrontarsi. Nel suo agire quotidiano, aveva il vezzo di dispensare dritte esistenziali, consigli, ammaestramenti di vita dei quali metteva a parte chiunque ne fosse, per lui, meritevole destinatario. Conosciuto da sempre: nelle piccole comunità si vive di una prossimità sana che rende condiviso anche il privato e le frequentazioni quasi giornaliere, ma è nel passaggio dalla scuola media alle superiori che la cosa aveva assunto una certa consuetudine. Aveva assunto, inoltre e per molti versi, il ruolo di anticipatore di quelli che sarebbero stati gli eventi futuri; frequentare la medesima sezione nel medesimo liceo ad un solo anno di distanza, rendeva le cose più semplici, ma c’era da parte sua un’inclinazione a farmi parte in anticipo di quello che sarebbe stato il percorso di studi a venire. Fu lui che mi dettagliò con cura il corpo docente dello Scorza, sia che questo riguardasse l’avvenenza fisica della docente di lingue, o la bonarietà del professore di matematica, o il piglio deciso e l’eloquio forbito della professoressa di filosofia. Il trasporto verso i docenti, e verso quest’ultima in particolare, che aveva acceso in lui passioni che l’avrebbero accompagnato anche in seguito, non era difficile per me scorgere in ogni sua parola, specie quando ciò si riferiva agli anni del liceo, al periodo, forse, più sereno della sua esistenza. Fu così anche dopo, alla Facoltà di Ingegneria. Mi annunciava in anticipo il novero delle incombenze e delle situazioni che potenzialmente avrei potuto incontrare e andò così fino almeno al terzo anno, quando poi esplose dirompente per lui qualcosa di più impellente, impattante nel suo quotidiano incedere: l’impegno politico. Le frequentazioni si diradavano e aveva sempre meno voglia di discutere dell’università, che ormai intendeva, forse, principalmente come sede dell’associazionismo studentesco del quale era parte attiva. Non fu mai in grado di intravvedere quali dolori lo tediavano, quali sofferenze emotive si portasse appresso, né fu mai capace di distinguere con nettezza i suoi tormenti, ma era evidente che qualcosa era cambiata nella sua vita. Che avesse perso la spensieratezza era evidente, ma di quale entità fossero i pensieri che lo attanagliavano non fu mai in grado, almeno fino ai giorni posteriori alla sua morte, di averne contezza. Aveva preso a frequentare di più Cosenza, ma in tanti anni vissuti in città non si è mai compromesso con certe vanterie talvolta tipiche dell’agire nel capoluogo. E' sempre stato un grimaldese verace e spesso si compiaceva a rimarcarlo, sottolineando con accenti, toni e argomenti la sua provenienza, con la sua immancabile ironia, in colloqui cui chiosava, stupendo tutti, citando Nietzsche a memoria. Era libero, senza sovrastrutture, schiettamente autentico, orgogliosamente testardo. E questo orgoglio che, con ostinazione manifestava talvolta indegnamente, mi trovo a pensare, fosse stato la causa del suo non chiedere aiuto, del suo non aggrapparsi mai a nessuno per avere un vantaggio proprio, figuriamoci un proprio tornaconto, lui a cui molti si rivolgevano sicuri che un rifiuto ad un amico, nel suo particolarissimo lessico di vita, non l’avrebbe mai pronunciato. Non è una forzatura asserire che chiunque si sia trovato a frequentarne la persona e a condividerne il carattere, ha sempre ricevuto da Eugenio più di quanto, inconsciamente o meno, a parti invertite, gli abbia tributato indietro. Era un ragazzo buono, ma non di quel buonismo fragile, di mutuo compatimento, dimesso o commiserevole, ma di un buonismo attivo, una bontà “ incazzata” spinta all'agire pratico, sull'onda della circostanza o dell’impellenza che il momento richiedeva. Era per gli amici, prima che per se stesso e questo, che è stato il suo più grande, greve, amaro gesto d’affetto, rimane la sua più grande eredità. Ed è tanto più evidente, quanto più il tempo ci allontana dall'emotività della tragedia della sua scomparsa, nulla si affievolisce, anzi aumenta anche per chi, come il sottoscritto, per carattere e per una certa riservatezza, mai troppo incline ad esternare sentimenti, senta la spinta ineludibile di manifestarlo adesso. A tre anni dalla sua scomparsa, a tre anni dall'ultima volta nella quale, inusualmente, non ci eravamo fatti gli auguri per il compleanno. Era in uso da un po’ di tempo, infatti, che, nell'approssimarsi del 6 e del 7 agosto, in cui ricorrevano rispettivamente il suo ed il mio compleanno, ci si facesse a vicenda gli auguri con una sottile ironia mirata a farlo sempre più in sordina, con il passare degli anni. Quest’ultima volta non fu così: non sapevo neanche che fosse in ospedale. Quel 7 agosto ebbi la notizia, mentre in studio terminavo gli ultimi lavori prima delle vacanze. Esattamente nel luogo dove, tante volte mi accusava, forse non a torto, d’essermi rinchiuso. Non so se sarà mai pubblicato questo scritto, dopo che si smette di fare domande, di interrogarsi su come sarebbe stato e su come avrebbe dovuto essere, rimane il ricordo e non si sa mai se valga la pena rinnovare un dolore, ma in tutti questi dubbi emerge la certezza che anche da lassù, con la sua bonaria ironia, annuendo ci osserva e sorride delle nostre piccolezze terrene. Non si possono contare gli amici che Eugenio aveva. Chiunque lo abbia incrociato anche solo per pochi istanti, non ha mai potuto scordarlo e la cosa era stupefacentemente vicendevole; uno slancio approfondito verso tutti e tutte, anche qui dimostrando una memoria prodiga e solida. Ancora oggi scopro gente che lo conosceva e che si interroga, sgomenta e incredula, sul fatto che realmente non ci sia più. A quanta gente ha regalato il suo sorriso, a quanta gente la sua eccedente disponibilità, a quanta gente il suo leale e disinteressato aiuto, è davvero difficile quantificarlo! Tale effimera constatazione, in sé non priva di rammarico e rabbia, lascia il posto, però, alla consapevolezza che questa gente non ha dimenticato, che tutti quanti hanno avuto la fortuna di conoscerlo, strettamente o in maniera superficiale, hanno di Eugenio un ricordo forte, genuino e nitido di un’anima trasparente e schietta che non mancava mai di prodigarsi per gli altri, redarguendoli con nettezza ma con slancio partecipato, fossero stati anche quelli con cui fino a due secondi prima aveva discusso. Una versione parziale la mia, me ne rendo conto, troppi gli impegni e le incombenze che giornalmente ci distraggono per pensare di poter capire del tutto cosa passa nel pensiero di persone anche vicine, soprattutto adesso che, seppur vagamente, va dettagliandosi l’idea del complesso mondo delle sue relazioni. Una marea di gente che non è neppure paragonabile a quella folla straripante che era in chiesa quando se ne è andato, commossa rappresentanza di un mondo di affetti molto vasto. Te ne sei andato, amico mio, nel giorno del mio compleanno senza che io avessi potuto farti gli auguri per il tuo. Te ne sei andato di botto, senza salutare, con il tuo strenuo orgoglio di uomo di questa terra, te ne sei andato e ci hai lasciati soli a supporre adesso su quello che avresti potuto dire e fare in merito a tutto quello sul quale ti piaceva dissertare e sorridere.
Te ne sei andato ma, come me, tanti, nonostante il tempo sia passato, non ti hanno dimenticato.
Ciao, Eugé!