Il professore Francesco Zinno è direttore U.O.C. Immunoematologia e medicina trasfusionale presso l'Ospedale civile dell'Annunziata di Cosenza, coordinatore del dipartimento Trasfusionale interaziendale, area nord Calabria.
Precedentemente docente presso l'Università di Roma Tor Vergata, e con attività al Bambin Gesù, con studi presso l’Università La Sapienza di Roma.
Esercita la sua professione a Cosenza da tre anni, originario della stessa città.

- Come nasce la nuova terapia di donazione del plasma da pazienti guariti di covid -19?
«Usare il plasma di donatori precedentemente infettati dalla sars cov-2 per curare la patologia da covid-19 è stato sperimentato con buoni risultati al San Matteo di Pavia, a questo filone di ricerca si sono unite diverse unità come Mantova e Lecco ed altre ancora, ma i numeri maggiori sono stati gestiti da Pavia e Mantova».


- Pratica innovativa o già usata per altre importanti patologie?
«È una innovazione su una pratica largamente usata. Raccolta fatta giornalmente da donatore abituale e volontario. L’utilizzo di anticorpi derivati da pazienti guariti è una procedura anch’essa abbastanza antica, per esempio è ciò che si fa con la profilassi antitetanica, se non è stato rinnovato il vaccino al riguardo della patologia. E a questo proposito sottolineo che non v’è contrapposizione alcuna tra vaccino ed immunoprofilassi».


- Qual è la differenza tra vaccino e immunoprofilassi?
«Il vaccino è come mettere la cintura di sicurezza in auto e prevenire dei danni in corso di incidente. L’immunoprofilassi è come colui che deve essere levato fuori dalle lamiere prima che l’auto prenda fuoco».
- Ma quanto è importante questa immunoprofilassi per gli ammalati da covid-19?
«Punto uno: si deve essere idonei alla donazione del sangue, all’interno del sangue del donatore devono essere presenti gli anticorpi in quantità adeguata da poter essere poi usata per ammalati covid-19. Punto secondo: altro aspetto è che questa terapia non può essere standardizzata. Quindi bisogna stare attenti alle informazioni date perché si deve trovare la verità su ciò che realmente rappresenta questa cura».


- Ma come avviene la lavorazione del plasma?
«Il plasma è dato a una industria in conto lavorazione, che viene finanziata dallo Stato. L’Industria manda il plasma lavorato agli ospedali in forma gratuita. Pertanto si comprende che è senza dubbio una grande risorsa, ma va considerata una terapia di emergenza, perché è questo che effettivamente rappresenta. In attesa che vi sia un vaccino e un farmaco standardizzato, magari anche ottenuto dal plasma».


- Quante sacche di plasma compatibile già possono essere usate?
«Si sta aspettando di fare la quantificazione delle immunoglobuline delle unità di plasma già a disposizione sul territorio».


- Allo stato attuale chi potrà essere curato con il plasma?
«Secondo il protocollo regionale della Calabria, che - attenzione - è differente da altri protocolli regionali, il paziente che può adire al plasma è il paziente critico, ma che non sia in questa situazione da più di dieci giorni. Fare quindi una ricognizione nazionale ci metterebbe nelle condizioni di capire la quantità a disposizione e di poter correggere il rischio, che già è minimo, infettivologico, perché l’industria fornitrice sarà in grado di estrarre solo le immunoglobuline. E che il costo beneficio sia opportuno».


- C’è differenza tra plasma e vaccino? Inoltre, sul fronte vaccino che prospettive ci sono?
«Il vaccino simula la malattia stimolando il sistema immunitario ed è un’immunoterapia attiva, come una foto da dare agli anticorpi da poter aiutarli ad individuare il virus, mentre il plasma è una immunoterapia passiva, un rinforzo degli anticorpi. In generale un vaccino sicuro nell’efficacia prevede molto tempo in anni di ricerca. Ma l’urgenza e il grande numero di laboratori e ricercatori al lavoro accorceranno i tempi di realizzo. Siamo di fronte a un virus influenzale che si modifica e ciò può dilatare i tempi, inoltre si diffonde in fretta e una volta trovato il vaccino ci potremmo trovare nella condizione di vaccinarci annualmente, perché ogni vaccino antiinfluenzale viene riadattato alla nuova condizione del virus».


- Quanti donatori su Cosenza?
«Dodici donatori (si tenga presente che l’intervista è stata realizzata qualche giorno fa, potrebbero essere in aumento). Ci sono stati donatori della valle del Savuto colpita maggiormente. Ma ci stanno contattando anche da fuori regione e da altre aree fortemente colpite del nord. Se ci dovesse essere una ripresa potremmo avere abbastanza dosi a disposizione per far fronte all’emergenza».


- Dal test sierologico è possibile ricavare un plasma idoneo da donatore che risulti al covid-19 positivo, ma asintomatico?
«Gli anticorpi efficienti sono i neutralizzanti, quindi vanno valutati nella loro qualità. La selezione del donatore viene effettuata su varie situazioni. L’età che deve essere uguale a quella della donazione del sangue, tra i 18 e 65 anni, le donne che abbiano partorito non possono donare e si deve essere in salute anche per gli ammalati di Covid 19, dopo il tempo necessario alla guarigione totale e potranno divenire donatori di sangue abituali. Dobbiamo fare tesoro della volontà dei guariti da Covid-19 di donare, per invogliare tutti a farlo con il proprio sangue abitualmente. Gli uomini possono donare il sangue 4 volte l’anno, le donne in età fertile 2 volte l’anno, le donne in menopausa, 4 volte l’anno. La donazione viene effettuata su appuntamento, presso l’ospedale di Cosenza e in mezz’ora si svolge il tutto. Inoltre, vi sono vari centri sul territorio per poter donare, verranno rilasciati certificati per giustificare sia gli spostamenti in periodo di blocco della libera circolazione sia per assenza dal lavoro».

Lucia De Cicco
giornalista pubblicista (OdG Calabria)
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