COSENZA - Si conclude con un meritato encomio, dopo 46 anni di alto e responsabile servizio professionale, la carriera del Direttore dei Servizi Generali e Amministrativi dell’ITI “A. Monaco” di Cosenza, Costantino Ponti.
Oltre a essere il tesoriere storico della UIL Scuola di Cosenza, di cui è anche segretario territoriale, va sottolineato il rilevante valore del lavoro svolto da Costantino Ponti per la scuola calabrese, in particolare negli ultimi tre lustri come DSGA di alcuni dei principali Istituti della provincia cosentina: dal 2004 al 2005, presso il Liceo Scientifico di Spezzano Albanese; dal 2005 al 2007, presso il Liceo Scientifico Valentini di Castrolibero; dal 2007 al 2015, presso il Vo Circolo di Via Negroni a Cosenza; dal 2015 allo scorso 31 agosto, presso l’ITIS Monaco di Cosenza.
Ponti, peraltro, è uno stimato professionista che gode di grande stima e fiducia da parte dei Revisori dei Conti della Ragioneria Territoriale dello Stato del MEF di Cosenza.
A conclusione delle sue attività professionali, il dirigente scolastico Giancarlo Florio, unitamente al collegio docenti dell’Istituto Monaco di Cosenza e a tutto il personale ATA, ha inteso esprimere un sentito ringraziamento a Costantino Ponti per quanto svolto con sensibile spirito di servizio e responsabile e qualificato lavoro.
«In questi anni di dirigenza scolastica - ha dichiarato Florio - ho avuto modo di conoscere la dedizione, l’impegno, la costanza e la tenacia con cui Ponti ha perseguito i suoi compiti, raggiungendo tutti gli obiettivi prefissati, per una crescita della scuola e per una migliore qualità dei servizi interni. La scuola calabrese gli rivolge un sentito ringraziamento per le tante opportunità date nell’attivazione di idee, progetti e strategie educative e didattiche, che hanno contribuito all’arricchimento e all’ampliamento dell’offerta formativa».
Ponti non verrà di certo dimenticato da quanti hanno avuto la fortuna e l’onore di lavorare con lui, sia per la sua alta professionalità e serietà, sia per aver contribuito alla crescita culturale e interiore di tutti i collaboratori scolastici alle sue dipendenze.

Molti calabresi ogni giorno si domandano perché il servizio di recapito della corrispondenza non è più quello di una volta. Le ragioni sono tante e cercheremo di riassumerle per dare una risposta a chi quotidianamente se la pone.
Premesso che il trascorrere dei tempi ed il calo della corrispondenza ha indotto Poste Italiane, per la sopravvivenza del settore, ad un mutamento strutturale della metodologia organizzativa del recapito, altri sono i fattori che ne stanno ostacolano la regolare attuazione.
La UILPOSTE Calabria da sempre afferma che un progetto buono se applicato male non può che dare un risultato disastroso. A questo punto ci tocca entrare nei meandri della struttura organizzativa per capire chi e perché rende questo sistema fragile. Il suo tallone di Achille non sta nella grande massa di lavoratori, che pur gettando in silenzio, ogni giorno, il cuore oltre l’ostacolo, spesso funge da capro espiatorio di fronte alla clientela, ma tra quanti anelano crearsi un loro piccolo spazio vitale dove sopravvivere grazie ad alcuni padrini. Quando un territorio viene diviso equamente ne beneficia non solo chi espleta il servizio, ma tutto il sistema ne trae vantaggio, sia in termini di funzionalità che di efficacia ed efficienza.
La UILPOSTE Calabria spesso tenta di scalfire con la forza della ragione questo apparato tentacolare fatto di miles gloriosus (attenti alla traduzione che a prima vista può ingannare) e servi sciocchi, ovvero coloro che aspirano all’ideale, ma non sono l’ideale, sono un po’ l’Alioscia dei Karamazov che destano simpatia ma anche diffidenza, collocati ad hoc, in alcuni punti nevralgici gestionali, incapaci del fare bene ma certamente utili perprodurre distonie.
La UILPOSTE Calabria tenta con la forza della legalità di imporre il rispetto di regole che troppo spesso vengono solo utilizzate come cassa di risonanza. Quando in terra di Calabria si tenta di bypassare con pindariche motivazioni le norme che regolano un’attività come quella della consegna della corrispondenza, non si agevola il protetto di turno, anzi, insieme a tanti altri lo si pone nella scomoda condizione di chi un giorno potrebbe trovare sul suo cammino, non il privilegio di un giorno, ma il rammarico di una vita, non avendo contribuito al funzionamento di un sistema che offre sostegno economico a sé stesso ed a tutta la comunità.
La UILPOSTE Calabria si batte anche per lui, come per tutti i cittadini calabresi che aspirano ad un servizio espletato secondo regole precise e non secondo gli umori di chi vuole ergersi a deus ex machina di un’attività che da sempre rappresenta il core business di Poste Italiane ma soprattutto il collante sociale che questa terra coltiva da sempre.
Il Segretario Regionale, Giuseppe Melito

“Sibari è uno dei luoghi a maggiore valenza identitaria della nostra regione. Un territorio di infinita ricchezza storica e culturale, capace di evocare i fasti di un glorioso passato, testimone e custode di cultura e civiltà millenaria”.
È partendo da queste considerazioni che Fortunato Amarelli, presidente di Confindustria Cosenza e Giovan Battista Perciaccante, presidente di Ance Calabria e Cosenza, rilanciano la proposta avanzata da più parti in riferimento alla candidatura a patrimonio Unesco di questo territorio che ha conosciuto l’opulenza ai tempi della Magna Graecia e che conserva ancora intatti: fascino, tratto storico e patrimonio.
«Il nostro auspicio - dichiarano i presidenti Amarelli e Perciaccante - è che il progetto di valorizzazione di uno dei luoghi simbolo della cultura magnogreca nel mondo possa andare in porto grazie all’importante sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali che potrà contare su tante alleanze da parte di stakeholders particolarmente significativi e motivati. La valenza culturale e storica di Sibari è certificata tanto da studiosi insigni che dai tanti estimatori diffusi nel mondo, purtroppo non si è riusciti nel tempo a valorizzarla per come avrebbe meritato. L’inclusione nel Patrimonio Unesco costituirebbe un risultato eccezionale soprattutto in termini di sviluppo turistico, crescita economica e conservazione del patrimonio. Studiosi della materia hanno dimostrato che la maggior parte dei siti del patrimonio Unesco sono diventati importanti mete turistiche e che il turismo culturale, che riconosce la necessità di un approccio integrato al turismo e alla conservazione dei beni culturali, si caratterizza per un approccio interdisciplinare e trasversale che ha necessità di essere pianificato e realizzato nell’interesse primario di tutelare i beni ed i siti protetti. Il nostro convincimento - proseguono il presidente di Confindustria Cosenza e di Ance Calabria e Cosenza - è che attraverso Sibari ed altri luoghi analogamente attrattivi, in Calabria si possano valorizzare e gestire i siti di interesse con una approccio innovativo e professionale che consentirà di proteggere, conservare ed interpretare il patrimonio culturale e paesaggistico, garantendo una partecipazione attiva delle comunità locali, fino ad ora troppo spesso lasciate ai margini dello sviluppo turistico.
Noi siamo pronti a fare la nostra parte - concludono Fortunato Amarelli e Giovan Battista Perciaccante - consapevoli che il percorso da intraprendere è complesso, ma esaltante, e che le potenzialità dei nostri territori meritino di essere dispiegate al meglio, per garantire un futuro alla Calabria ed ai tanti giovani che potrebbero trovare lavoro da simili opportunità».

(Nella foto: da sinistra i presidenti Amarelli e Perciaccante)

A Cellara, l'ultima domenica di agosto, si svolge la festa di San Sebastiano, Patrono del paese. Dopo la Santa Messa nella Chiesa del Santo, che si trova nella parte alta del centro storico, la sua statua viene portata in processione per le strade del paese. Da oltre tre secoli, si svolge questa processione, probabilmente a partire dalla terribile peste del 1656. In quel tempo, i Cellaresi, per debellare l'epidemia che imperversava, decisero di fare una processione con la statua del Santo, che, arrivata sotto il primo arco del paese, arrestò miracolosamente il flagello della peste. E,per questo motivo, i Cellaresi da allora, ogni anno, rinnovano il rito della processione di San Sebastiano.
A parte il giorno dedicato ai festeggiamenti, durante tutta la settimana precedente sono organizzati intrattenimenti e manifestazioni. L'ultimo venerdì di agosto si svolge la caratteristica e colorata sfilata delle "Pullicinelle". Sono degli enormi pupazzi costruiti con canne e carta velina, animati da un gruppo di persone. Queste grottesche figure attraversano le vie del paese con corse, movimenti rotatori, inchini, accompagnate dal suono dei "tummarini" (tamburi). Numerose sono le soste, caratterizzate dal consumo di vino offerto dai compaesani, che attendono sull'uscio delle loro case. Alla sera, arrivate in piazza San Sebastiano, antistante l'omonima Chiesa, le "Pullicinelle" vengono bruciate, mentre gli abitanti ballano e cantano.
Quest'anno, però, i festeggiamenti avranno delle restrizioni a cause delle misure sull'emergenza coronavirus.
Il nome Sebastiano deriva dal greco "sebastos", cioè "venerabile". San Sebastiano è considerato il terzo Patrono di Roma, dopo Pietro e Paolo.


Anche su Sebastiano, come per tanti santi dei tempi antichi, le informazioni sono pochissime. Egli nasce a Milano intorno alla seconda metà del 200 (forse nel 256) in una famiglia cristiana. Il padre è un funzionario romano della provincia di Narbona, colonia dell'Impero Romano nella Francia meridionale, la madre è milanese ed è a lei che il figlio deve l'educazione cristiana. Intorno al 270 si trasferisce a Roma; qui, ancora giovanissimo, intraprende la carriera militare e, nel giro di alcuni anni, diventa tribuno, cioè ufficiale della prima coorte (un'unità militare) della guardia imperiale.
Gli imperatori Massimiano e Diocleziano (siamo nel periodo della "diarchia", in cui i due si dividono il governo dell'Impero) ignorano che quel valente soldato, da loro amato e stimato, sia un cristiano. Lui, dal canto suo, proprio grazie alla sua funzione è in grado di aiutare i cristiani incarcerati per la loro fede e curare la sepoltura dei morti. Sono anni terribili per i cristiani e per chi li aiuta, ma Sebastiano riesce persino a convertire alcuni militari e nobili della corte.
Quando Diocleziano scopre la fede cristiana del suo ufficiale, lo condanna a morte. Il giovane viene spogliato, legato a un palo sul colle Palatino e trafitto da moltissime frecce. 

Credendolo morto i soldati lo abbandonano sul luogo del martirio, affinché il suo corpo venga sbranato dagli animali selvatici. Ma Sebastiano non è morto: se ne accorgono alcuni cristiani giunti sul Palatino per recuperare il corpo e dargli giusta sepoltura. Perciò lo portano via e lo affidano alle cure di una donna, Irene.
In breve tempo Sebastiano guarisce miracolosamente e, invece di fuggire come gli consigliano alcuni amici, decide di recarsi da Diocleziano per proclamare davanti a lui la sua fede.
Lo raggiunge proprio mentre l'imperatore sta presiedendo insieme a Massimiliano una funzione pagana e, davanti a tutti i presenti, rimprovera entrambi per le persecuzioni contro i cristiani.
Facile immaginare lo stupore di Diocleziano nel vedere ancora vivo il suo tribuno infedele, il quale, per di più, lo accusa pubblicamente. Ripresosi dalla sorpresa, l'imperatore condanna nuovamente a morte Sebastiano.
Il giovane dovrà essere flagellato e poi gettato nella Cloaca Massima, la grande fogna della città, per evitare che il suo corpo venga recuperato, come già accaduto dopo il primo martirio.
La sentenza viene eseguita il 20 gennaio dell'anno 288. La leggenda racconta che il martire sia apparso alla matrona Lucina per indicarle il luogo dove si era impigliato il suo corpo e per chiederle di seppellirlo nel cimitero "ad catacumbas", presso le catacombe sulla Via Appia. Quelle che oggi sono, appunto, le catacombe di San Sebastiano.
Giuseppe Pizzuti, docente  

Foto; pagina facebook Comune di Cellara

La principale festa di Belsito è dedicata al Santo Patrono, San Giovanni Battista, che, per tradizione, viene festeggiato tre volte l'anno.
La prima, nell'ultima domenica di agosto (come ricorrenza del suo martirio), viene detta di San Giovanni "abbuttu" (sazio) perché era una delle poche occasioni in cui i Belsitesi potevano mangiare la carne. La tradizione che anche oggi viene rispettata, vuole che un vitello venga ucciso in piazza e poi mangiato tutti insieme. In occasione di questa prima festa si recita la novena, cioè nove giorni di preghiera, a cui fa seguito la Santa Messa nella Chiesa di San Giovanni Battista (Matrice). Dopo, la statua del Santo, accompagnata dalla banda musicale, viene portata in processione per le strade del paese. Il venerdì e il sabato precedenti si organizzano giochi popolari come la corsa con i sacchi, il palo della cuccagna, la rottura della "pignatta". 

In concomitanza dei festeggiamenti, si organizza anche la sagra delle polpette di melanzane ("purpetta di milunjiana"). Un tempo la tradizione voleva che venissero cucinate solo quelle che pesavano 33 "onze" (once), cioè circa 1 chilo, a ricordare le notevoli misure che potevano raggiungere questi tipici ortaggi belsitesi di colore violaceo.
Il secondo festeggiamento è chiamato di San Giovanni "dijunu" (digiuno) e si svolge il 24 giugno, giorno della natività del Santo. Il nome deriva dal fatto che,in passato, ancora il raccolto non era pronto e le dispense erano poco piene. A questa festa si affianca anche la tradizionale "Fiera della Surda" (di bestiame e di prodotti tipici).
San Giovanni Battista, infine, viene festeggiato il 12 febbraio, come ricorrenza di un catastrofico terremoto, che colpì il paese, dal quale i Belsitesi dicono che si salvarono per intercessione del Santo.
Quest'anno, però, i festeggiamenti avranno delle restrizioni a causa delle misure sull'emergenza corona virus.
San Giovanni Battista è l'unico Santo, oltre alla Madre di Gesù, di cui la Chiesa ricorda sia il giorno della morte, sia quello della nascita.  

Della vita del Battista (che non è il Giovanni evangelista: è bene ricordarlo subito) non sappiamo molto. Le notizie che abbiamo giungono principalmente dai Vangeli. Egli nasce presumibilmente tra l'anno 6 e l'anno 7 a.C. in una piccola località della Giudea, poco distante da Gerusalemme. La madre Elisabetta e il padre Zaccaria, sacerdote del Tempio, sono avanti negli anni e non hanno potuto avere figli per la sterilità della donna. Il Signore,però, ha un progetto speciale su di loro ed è l'arcangelo Gabriele ad annunciarlo un giorno a Zaccaria,mentre è nel tempio: lui e sua moglie avranno un figlio e lo chiameranno Giovanni. L'uomo,per l'incredulità, rimane muto. 

Dopo quella visione, Elisabetta concepisce un bambino e, quando è al sesto mese di gravidanza, riceve la visita di Maria (forse cugina), che ha saputo del lieto evento dall'Angelo: le è apparso e le ha annunciato che anche lei concepirà un figlio, pur non essendo ancora sposata, perché nulla è impossibile a Dio. Quel figlio sarà Gesù, di cui il Battista è considerato il "Precursore", perché annuncia la sua venuta.
Egli visse nel deserto fin verso i trent'anni, poi cominciò a predicare e a preparare i cuori perché il Messia era vicino. Convertiva i peccatori e li battezzava in segno di penitenza (Battista, infatti, significa "battezzatore", "colui che battezza"). Un giorno andò anche Gesù a farsi battezzare da lui, nelle acque del fiume Giordano.
Sicuramente non è amato dal re d'Israele, Erode Antipa, che aveva ripudiato la moglie per sposare Erodìade, sua nipote e moglie divorziata del suo fratellastro Erode Filippo. Giovanni, attento alla legge, critica questo matrimonio adulterino e consanguineo. La critica non è tollerata da Erode che lo fa arrestare.
Erodìade lo odia e vuole farlo uccidere, ma il re non ha alcuna intenzione, perché temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigila su di lui. Non sappiamo per quanto tempo Giovanni sia rimasto in carcere: settimane, mesi... Un giorno, per festeggiare il suo compleanno, il re Erode organizza un banchetto con i più alti funzionari di corte. "Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: "Chiedimi quello che vuoi e te lo darò". Istigata dalla madre Erodìade (è l'occasione che aspetta da tempo), la ragazza chiede la testa di Giovanni Battista su un vassoio. E il re, avendo giurato davanti ai suoi ospiti, non può rimangiarsi la parola data. E subito manda una guardia, che decapita Giovanni in prigione, porta la sua testa su un vassoio, la dà alla fanciulla e la fanciulla la dà a sua madre. Presumibilmente ciò avviene nell'anno 29.
Il corpo di Giovanni viene preso da alcuni discepoli sconvolti e sepolto in un luogo imprecisato.
Giuseppe Pizzuti, docente 

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 Nelle foto:
Processione in onore del santo (1962);
Chiesa dedicata a San Giovanni;
Fiera della Surda

GRIMALDI - “Obiettivo Grimaldi: passato e presente” è il titolo dato alla mostra fotografica amatoriale collettiva che apre sabato alle 18 presso il Casale della scenografia, già palazzo Amantea Mannelli.
L’idea, di esporre le foto scattate nel borgo ai piedi di monte S. Lucerna, è venuta a un gruppo di amici durante una delle solite passeggiate, in cui si parlava delle bellezze del posto che meriterebbero una conoscenza maggiore, soprattutto al di fuori dei confini comunali.
Grimaldi, è un paese ricostruito subito dopo il terremoto del 1638, in una zona a valle rispetto al Perrupo. Molte delle abitazioni sono state costruite nella cosiddetta “Trinca” (pietra) e conservano tuttora delle caratteristiche che le rendono uniche nella Valle del Savuto.
Negli scatti degli autori, che non si prendono assolutamente sul serio, non essendo fotografi, ma solo amanti del paese che li ospita da molti anni, una carrellata di panorami, scorci, vicoli, monumenti, chiese, eventi, e alcuni personaggi.
La mostra è costituita da venti pannelli dislocati nei vari ambienti dell’antico stabile, tra i quali uno dedicato allo scomparso fotografo grimaldese Giovanni Bombino.
I curatori della rassegna amatoriale Piero Carbone, Mario Cuglietta, Claudio Posteraro, e Franco Virzo, che si sono autofinanziati per la realizzazione dell’esposizione che è anche autogestita, ringraziano l’amministrazione comunale per aver concesso l’utilizzo del Casale. 

Quella di ieri è stata una giornata di profondo lutto e cordoglio per la comunità roglianese: è venuto a mancare improvvisamente, all'età di 55 anni, don Giampiero Arabia. Il sacerdote, dopo aver accusato un malore, si è spento nel pomeriggio di ieri al Policlinico Umberto I,di Roma.
Don Giampiero, insegnante, teologo, artista, assegnato alla Diocesi di Roma, da alcuni anni era missionario in Germania, nella città di Aquisgrana. Da poco era rientrato in Italia per un periodo di riposo.
Lo ricordiamo per la sua grande fede, per l’educazione alla preghiera assidua e alla carità cristiana.
La generosità e la passione viva nell’essere prete, lo hanno accompagnato in tutte le parrocchie che ha guidato senza attimi di tregua o di riposo.
La sua virtù più bella, quella che tutti ricordano, era quella dell'accoglienza, dell'accoglienza nell'amore.
Rogliano e le comunità parrocchiali dove prestava il suo ministero sacerdotale, perdono non solo una guida spirituale, ma una persona alla mano, un uomo dalla grandissima cultura che lascia un enorme senso di vuoto in tutti noi. 

Il ricordo del sindaco e dell'amministrazione comunale

Non è la morte che ha spento la vita di Giampiero Arabia, ma è la vita dell’Aldilà che lo ha chiamato. Giampiero Arabia, no: don Giampiero Arabia; sì, reverendo don Giampiero Arabia, sacerdote che, sin da ragazzo, ha donato la sua esistenza alla Chiesa, con la forza prorompente della sua vocazione, vocazione che – è bene sottolinearlo con inginocchiato rispetto -, vocazione che è Grazia di Dio.

Alla Chiesa don Giampiero ha donato la sua arte finissima, la passione che, con la vocazione, lo ha catturato sin dagli anni della sua infanzia. Come dire: Fede e Arte, Arte sacra, sono state il suo pane quotidiano. Egli ha rappresentato plasticamente la Fede nella sua Arte, soprattutto, arte pittorica e arte musiva. E ha espresso la sua Arte nella Fede, come Credo trasfuso nella rappresentazione pittorica e nella composizione dei mosaici, vale a dire in opere, a loro volta, ispiratrici di preghiera e di meditazione. Ispiratrici e sollecitatrici di preghiera e di meditazione. I

l suo è stato un esempio alto, generoso, il più alto e generoso che un uomo possa consegnare al prossimo; un esempio che indica la strada della Verità, quello che è destinato a dare impulsi alla conversione permanente, alla rigenerazione continua nell’Amore in Cristo Gesù. Non c’è niente di più alto. Don Giampiero, per tutti quanti noi, è stato questo: un ispiratore di Cristianità.

“Don Giampiero. Per me, che ho vissuto con lui i miei anni giovanili – mi sia consentito questo commosso ricordo personale -, per me: semplicemente Giampiero. E non posso sottacere l’educazione familiare che egli ha ricevuto e che ha contribuito alla sua felice formazione”, afferma in una nota il Sindaco Giovanni Altomare. Figlio d’arte, con il papà, il grande poeta vernacolare Peppino Arabia, cantore di Rogliano e pittore anche lui. Figlio d’una madre di forte radicamento religioso, memore delle sue origini di San Sisto, dove la religiosità assume, appunto, un senso radicale nel dramma storico che quella località e quella comunità, nobili e patite, evocano alla sensibilità di chi sa.

Giampiero è rimasto fedele ai loro insegnamenti. Li ha elevati, quegli insegnamenti, sino a farne una ragione di vita. Che la morte non cancella, perché la sua vita continua nel richiamo che ha ricevuto dalla Casa del Padre.

Il Sindaco Giovanni Altomare, l’Amministrazione Comunale e l’intera popolazione Roglianese, esprimono profondo cordoglio per la perdita del caro Don Giampiero.

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