Arcangelo Francesco Salerno, che firmava le sue opere Salerno Francesco (come si può leggere nella base della statua di San Giorgio a Rogliano), è uno scultore calabrese poco conosciuto, ma un grande artista, come testimoniano le sue opere, soprattutto le bellissime Madonne col Bambino. La sua arte è sofferta e drammaticamente vissuta, come del resto tutta la sua vita travagliata e conclusa anzitempo per motivi accidentali, aleggiati da mistero. Moltissime sono le sue statue di Santi, custodite nelle Chiese della Valle del Savuto.
Le notizie, di cui disponiamo sulla sua vita - non molte - e sulle sue opere, sono desunte dall'opuscolo-ricerca "Oblò sul passato di Valerio Corrado, nipote dello scultore.
Francesco Salerno nasce a Cinquefrondi (Reggio Calabria) il 6 maggio 1865 ed è figlio d'arte, poiché anche il padre Raffaele era uno scultore, autore di molte opere in legno, che si trovano nelle Chiese di Cinquefrondi. Il figlio Francesco già nell'adolescenza manifesta il suo amore per l'arte, frequentando assiduamente la bottega del padre, come era consuetudine a quei tempi e, di conseguenza, trascura lo studio. All'età di 17 anni, poiché il padre è ormai in età avanzata, si dedica completamente alla conduzione della bottega. Nel 1892, il padre muore e per Francesco è un duro colpo, perché per lui era un compagno d'arte e una vera e propria guida per la vita. Addolorato per la grave perdita, trascura il proprio lavoro, dedicandosi a una vita sfrenata, piena di vizi e senza principi morali. Poco tempo dopo, perde anche la madre e ciò peggiora la sua situazione sia dal punto di vista artistico che morale. Dal 1894 non si hanno più notizie sulla sua vita. Nel 1898 si trova a Scigliano, che si potrebbe tranquillamente chiamare "il paese delle chiese", perché nel suo territorio ce ne sono più di venti. Scolpisce un San Giuseppe con il Bambinello ed esegue anche la decorazione della Cappella per la Chiesa Matrice omonima, nella frazione Diano. La stessa Chiesa ospita un San Giuseppe II, alto sessanta centimetri, che gli fu ordinato, nel 1906, a proprie spese dal parroco. A Scigliano conosce una donna, Mancuso Mariantonia, l'unica della sua vita, che amò moltissimo. Essa si era sposata a 18 anni, ma il marito, dopo pochi mesi, era emigrato in America e non aveva dato più notizie di sé. Mariantonia era una donna esemplare sotto tutti gli aspetti, ligia alla sua moralità e sperava sempre nel ritorno del marito. Per vivere, gestiva un forno e a Scigliano la chiamavano “la bella fornaia". Pian piano i due si innamorarono. Da questa unione nacquero due figli.
Nel 1900, Francesco scolpisce la Madonna delle Timpe, che si trova in una Chiesetta, in un luogo molto suggestivo. Su quest'opera c'è una storia da raccontare. Un giorno di ottobre, alcuni nobili andarono a caccia, ma furono sorpresi da un forte temporale. Uno di loro perse l'orientamento e, poiché era calato il buio, si smarrì. Scese da cavallo e proseguì a piedi, conducendo per mano l'animale. Passando l'impervio sentiero tra le montagne, precipitò giù nel burrone col suo cavallo. Durante la caduta supplicò la Madonna di salvargli la vita. Sia lui che il suo cavallo rimasero illesi da tale caduta. Allora fece voto di donazione di una statua alla Madonna e di una Chiesa. E la Chiesa venne costruita tra le rocce proprio su una rupe di pietra dura...
Per Scigliano, divenuta ormai la sua residenza fissa, scolpisce molte altre opere: Santa Filomena Vergine e Martire (1901) della Chiesa di Monserrato, nella frazione Calvisi. Due statue di San Rocco (una è alta solo cinquanta centimetri), nel 1902, della Chiesa del Carmine, nella frazione Cupani e, nel 1905, sempre per la stessa Chiesa, la Madonna Addolorata. Scolpisce la statua di Santa Lucia (1903) della Chiesa della Congregazione dei Quaranta Martiri, nella frazione Diano.
L'artista, poi, di volta in volta si spostava per svolgere i lavori nei paesi in cui veniva chiamato. A Belsito, nel 1901, scolpisce la statua di San Giovanni Battista della Chiesa Matrice. Nel 1903, per la Chiesa Matrice di Marzi, la statua di Santa Barbara: bellissimi sono i particolari. La statua fu poi donata all'Ospedale Civile di Rogliano, dove si trova ancora oggi. Nel 1904, il primicerio Cardinale Ripoli gli commissiona la statua di San Giorgio, che si trova nella Chiesa di Rogliano di cui porta il nome. Due anni dopo, per la Chiesa Matrice di Rizzuti, frazione di Colosimi, la statua di San Giuseppe col Bambino.
Nel 1908, Salerno è chiamato a Carpanzano per scolpire la Madonna delle Grazie col Bambino (nella foto), che si trova nella Chiesa omonima. Questa è la più bella delle Madonne da lui scolpite, il suo capolavoro. L'8 dicembre, festa dell'Immacolata, lo scultore, di buon mattino, si reca a Carpanzano, per consegnare il suo lavoro e, per guadagnare tempo, anziché andare per la strada principale, prende le scorciatoie. Tutta la popolazione rimane stupita nel vedere la straordinaria bellezza della Madonna. Dopo la consacrazione della statua, il sacerdote fa mettere alla base della stessa una "guantiera", affinché la popolazione potesse dare un'offerta all'artista, anche se il lavoro era stato già pagato dalla Commissione. E le offerte furono maggiori della paga che era stata data dalla Commissione. Al termine della festa, molti nobili del paese lo invitano, ma lui cortesemente rifiuta, dicendo che era stato già invitato da un compare (che aveva battezzato uno dei suoi figli) e che abitava in una zona poco distante dal paese, al bivio tra Scigliano e Soveria Mannelli. Il compare, che aveva invitato anche molti amici e vicini di casa, festeggia l'uomo e l'artista per il successo ottenuto. Poi, al momento del ritorno a Scigliano, tutti gli invitati e, soprattutto, il compare, gli raccomandano di non prendere le scorciatoie, perché di notte erano pericolose per gli strapiombi. Ma Salerno non segue questo consiglio e, per abbreviare, prende le scorciatoie. La mattina seguente viene rinvenuto da alcuni passanti in un burrone. Aveva perso la vita per fratture in diverse parti del corpo e per polmonite.
Scigliano gli tributò grandi onori. Così Salerno terminò la sua vita sfortunata, lasciando, però, un buon ricordo sia dell'artista che dell'uomo.

Altro che Zero! Il numero uno della musica italiana, l'artista più eclettico, originale, unico, imitato ma inimitabile del panorama musicale compie 70 anni,
oltre 50 dei quali vissuti da grande protagonista dello spettacolo e della musica.
Una cifra tonda per un artista "a tutto tondo", che ha fatto emozionare, divertire, piangere intere generazioni. 

“Anche con le paillettes non sono mai stato un clown” ha affermato Renato Zero, alla vigilia del suo 70esimo compleanno.
Con le piume, con i suoi costumi eccentrici e originali e le paillettes, Renato Zero, da grande artista e affabulatore, non ha mai ingannato il pubblico; ha cantato di politica, di fede, di amore, di lotta, ma anche di solitudine, di amicizia, di sesso; ha raccontato dolori e gioie; con il suo atteggiamento sfrontato e irriverente, ha abbattuto muri e tabù, è stato ed è il geniale precursore e provocatore in un'Italia perbenista. Riuscire ad affrontare tematiche profonde e importanti vestendo con lustrini non è certamente facile.

Con la sua voce unica e una teatralità da grande interprete, seguito da migliaia di sorcini e zerofolli, fin da giovanissimo, ha intrapreso un cammino artistico votato all'originalità e alla qualità.
musicale. I suoi voti? Zero in condotta per i moralisti ingessati in giacca e cravatta, che odiano gli eccessi.
10 e lode per chi ama la sua creativa versatilità. 

Numero uno nella classifica italiana con un proprio album in cinque diversi decenni, dagli anni '70 fino al 2000.
Come iniziò la carriera del grande artista? Fu notato dapprima da Don Lurio al Piper di Roma.
Fu lui ad inserirlo nel gruppo di ballo I Collettoni, che accompagnavano Rita Pavone nei suoi show in Italia e nel mondo. Lì conobbe un'altra grande e originale artista, Loredana Berte', con la quale instaurerà un rapporto di amicizia che si chiuderà bruscamente alla fine degli anni '90. Fu poi notato da Boncompagni e iniziò la sua luminosa carriera.

Fu nel 1977 uscì uno dei suoi album capolavoro : 'Zerofobia' che contiene 'Mi vendo' a 'Morire qui' e 'Il cielo' - e che la rivista specializzata Rolling Stone piazza al 34esimo posto della classifica degli album più belli della storia della musica.

Chi non ricorda e canticchia ancora brani come "Triangolo", "Il carrozzone", "Amico"?

Album come Erozero e Zerolandia registrano successi incredibili! I fans sono in delirio. 

Anche gli anni '80 iniziano all'insegna dei successi. L'album 'Tregua' fu dedicato al padre appena scomparso, poi 'Artide Antartide' (un milione e trecentomila copie vendute), ma soprattutto 'Icaro' album live che raccoglie l'esecuzione in concerto dei suoi principali successi.
Nei concerti dal vivo, vere e proprie performance artistiche, Zero è il numero uno e riesce a instaurare un rapporto profondo e intenso con il suo pubblico, che continua ad amarlo e seguirlo. Auguri a Renato Zero, il numero uno, con l'augurio di altri 100, 1000 successi.

Anna Maria Stefanini, insegnante

Nata a Roma il 29 settembre 1950, l'artista ha conquistato generazioni di spettatori televisivi, con il suo talento, l'esuberanza, la bellezza e la classe innata. 


Enfant prodige, presentatrice, imitatrice, doppiatrice, cantante, ballerina, attrice, showgirl, poliedrica e bravissima in ogni ruolo, nella sua carriera ha cambiato spesso look, pur mantenendosi fedele al biondo delle sue chiome, ma ha sempre "bucato" lo schermo e conquistato generazioni di spettatori. 

Ha cominciato a 10 anni con gli sceneggiati Tv, fino al grande successo del 1969 La freccia nera, prima donna imitatrice in TV, prima a condurre un varietà sulle reti Fininvest (Hello Goggi, prima donna con il cognome nel titolo dello show), prima a condurre Sanremo nel 1986 con una chioma protesa verso il successo, oltre che folta, vaporosa e scolpitissima di lacca , come andava di moda negli anni 80. Mai eccessiva, sposata con l’amatissimo Gianni Brezza (scomparso nel 2011), Loretta è stata un modello per generazioni di ragazze, ma è semplicemente unica.

Anna Maria Stefanini, insegnante 

A Carpanzano, nella quarta domenica di settembre, si celebra la festa della Madonna delle Grazie, Patrona del paese.
Dopo la Santa Messa nel Santuario Maria SS. delle Grazie, eretto (probabilmente in età tardo medievale) in località Timpone come Chiesa dell'Annunziata, si svolge la processione con la statua della Santa e i Carpanzanesi sono soliti invitare a pranzo i componenti della banda musicale. Nel pomeriggio le bancarelle colorano le vie del paese. Si organizzano tradizionali giochi popolari, come la corsa con i sacchi e la rottura della pignata. In serata concerti musicali in piazza e fuochi d'artificio.
Quest'anno, però, i festeggiamenti dovranno seguire le restrizioni delle misure anti Covid. 


La Madonna delle Grazie viene festeggiata anche il 12 febbraio. In questa occasione, dopo la celebrazione della Santa Messa, si svolge la tradizionale processione in cui il quadro della Madonna con il Bambino viene portato, accompagnato dalla banda musicale, per le strade del paese. Chiudono la giornata i fuochi d'artificio. 


Su questo dipinto, c'è un racconto, che i Carpanzanesi tramandano di padre in figlio. Sembra che, quattro secoli fa, padre Bonaventura Pontieri (allora parroco) si sia recato a Napoli da un pittore e gli abbia commissionato un dipinto con l'immagine della Madonna con il Bambino, lasciandogli anche una tela. Dopo qualche tempo, ritornato a Napoli per ritirare il quadro,il pittore disse di non aver potuto svolgere il lavoro perché aveva perso la tela. Allora padre Bonaventura cominciò a cercare la tela nella confusione della bottega e,infine,la trovò. Durante il viaggio di ritorno, incuriosito,la srotolò e vide l'immagine della Madonna sulla tela. Tornò dal pittore e voleva pagarlo,ma lui rifiutò dicendo di non aver mai dipinto quel quadro. Quando padre Bonaventura arrivò a Carpanzano,mise il quadro nel convento. Nei giorni successivi, il quadro sparì tre volte e fu sempre ritrovato in un cespuglio di rovi in località Timpone. I fedeli, credendo che quello fosse illuogo scelto dalla Madonna per sua dimora, vi costruirono una piccola cappella, proprio nel punto in cui oggi si trova il Santuario.


I Carpanzanesi sono molto devoti a questo quadro, perché, nel 1905, si rivolsero alla Madonna dipinta per essere salvati dal terribile terremoto, che di strusse molti paesi della Valle del Savuto. E ancora oggi, il 12 febbraio, in segno di riconoscenza, si svolge (qualunque siano le condizioni atmosferiche) una processione in onore della Madonna. 


Il nome Madonna delle Grazie rispecchia l'immagine di una madre benevola e affettuosa. Infatti, questo nome, riferito a Maria, ha un duplice aspetto. Da un lato si riferisce alla maternità di Maria, il suo essere madre di Gesù, la Grazia divina discesa tra gli uomini per condurli alla salvezza eterna. Dall'altro lato si fa riferimento alle Grazie che Maria garantisce agli uomini intercedendo per loro presso Dio. Ed è proprio questo secondo aspetto che ha fatto colpo sulla devozione popolare dei fedeli di tutto il mondo: Maria appare come una madre amorosa che ottiene tutto ciò di cui hanno bisogno gli uomini per l'eterna salvezza. Tale titolo nasce dall'episodio biblico noto come "Le nozze di Cana": è Maria che spinge Gesù a compiere il miracolo e incita i servi dicendo loro: "Fate quello che Lui vi dirà". Il manto blu rappresenta trascendenza in quanto colore celestiale; l'abito rosso è simbolo della natura divina e indica la vita terrena.

Giuseppe Pizzuti, docente 

Tutti i genitori, nonni, zii che hanno figli in età scolare, sono in fermento per la riapertura delle scuole dopo la chiusura per la pandemia e si augurano che la scuola sia come quella di prima e non quella dei computer.
Si auspica una scuola viva, con insegnanti ed alunni reali e non virtuali, in video lezione; con le classi composte da compagni, con la campanella, i libri, i bidelli, la mensa, i giochi, le manifestazioni.
La scuola reale è un modo vivo, pulsante pieno di esperienze, affetti, amicizie, che spesso durano tutta la vita. In più la scuola, nel suo compito principale: “Fa sapere agli alunni le vicende, la storia, le scoperte, le conquiste, i vissuti ad iniziare dai nostri antenati fino ad arrivare ai nostri giorni. Sapere, nel suo significato letterale dal latino vuol dire avere sapore, discernimento, imparare ad essere saggi, fare proprie le cose accadute dal passato fino ad oggi arricchendo così la mente, la nostra persona, l’intelligenza, la volontà, l’esperienza, indirizzandola alla verità, al bene essenziale affinché l’uomo conoscendo e possedendo il sapere possa prendere coscienza di se e migliorare la qualità del suo essere uomo”.
Dante Alighieri, nel ventiseiesimo canto dell’inferno afferma: “Fatti non foste per vivere come bruti, ma per seguire virtute e conoscenza”.
E finalmente a fine mese si riaprono le porte della fucina del sapere, del saper vivere, operare, capire, agire in tutti i campi e nelle varie occasioni che ci offre la vita.
Sono una insegnante in pensione, ho sempre amato, difeso, protetto e cercato di formare e informare, rispettandone la personalità dei miei alunni che chiamavo e ancora chiamo quando ci incontriamo, anche ora che sono uomini, miei figli scolastici, con tutta me stessa e ho sempre detto loro che “l’uomo si distingue nel mondo in cui vive per il comportamento e per il rispetto verso il prossimo, per la natura animale e vegetale e minerale e per il mondo intero. Sono in pensione da quasi dieci anni, ma ricordo tutto del mio maestro delle elementari: la sua presenza fisica, il suo modo di stare nell’aula, di parlare, spiegare, di informarci e incuriosirci sul sapere, di stuzzicare la nostra curiosità, di invogliarci a sapere di più e importantissimo su come comportarci bene: sempre e ovunque con tutti.
Nel corso della mia funzione di maestra ho cercato di seguire il suo esempio. Giorni fa è capitato il fattaccio del bravo Willy Monteiro.
Vorrei poter essere presente in tutte le scuole per dire ai ragazzi che lo sport è bello, che il corpo va curato, educato, esercitato nelle palestre però non bisogna mai esercitarlo per le violenze e per il piacere di fare del male agli altri, per dimostrare la propria forza e supremazia fisica alle altre persone, ferendole, umiliandole o addirittura uccidendole, e diventare così super assassini.
La scuola riapre finalmente!
Auguri agli attori principali, cioè agli alunni, agli insegnanti, ai direttori e a tutto il personale.
Concludo citando una frase del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte: “La scuola è vero luogo dove imparare che la vera forza non è la violenza”.
G. C. insegnante in pensione

“Se muoio per altri cento, rinasco altre cento volte: Dio è con me e io non ho paura!”
In tutta Italia sono intitolate a lui vie, piazze, caserme. Nello spirito dell'Arma, seguendo i valori propri dei Carabinieri, Salvo D'Acquisto non ha esitato a sacrificare la sua vita per salvare gli altri.
Vicebrigadiere dei Carabinieri era nato a Napoli il 17 ottobre 1920, in un popolare quartiere del Vomero da una famiglia profondamente cattolica. Salvo D’Acquisto venne destinato alla stazione di Torrimpietra, borgata a 30 km da Roma.
Il 23 settembre 1943 venne fucilato dai tedeschi in località Torre di Palidoro. Fu uno degli episodi più eroici che si ricordino nella storia dell’Arma. 


Dopo l’8 settembre 1943, a seguito dei combattimenti alle porte della Capitale, un reparto di SS tedesco si era acquartierato nel territorio della Stazione di Torrimpietra, presso una caserma abbandonata della Guardia di Finanza, nella “Torre di Palidoro” borgata limitrofa a Torrimpietra. La sera del 22 settembre alcuni soldati tedeschi, rovistando in una cassa abbandonata, provocarono lo scoppio di una bomba a mano: uno dei militari rimase ucciso ed altri due furono gravemente feriti. L’episodio fu interpretato dai tedeschi come un attentato.
Il mattino successivo, il comandante del reparto si diresse alla Stazione di Torrimpietra per ricercarvi il comandante. Vi trovò, in assenza del maresciallo titolare della stazione, il vice brigadiere D’Acquisto, al quale chiese perentoriamente di individuare i responsabili dell’accaduto. Il giovane sottufficiale cercò inutilmente di convincerlo della casualità del tragico episodio, ma l’ufficiale tedesco decise la rappresaglia. Poco dopo, Torrimpietra fu tutta accerchiata e 22 innocenti cittadini furono rastrellati, caricati su di un autocarro e trasportati ai piedi della Torre di Palidoro. 


Gli ostaggi vennero obbligati a scavare una fossa comune, chi con le pale chi con le mani. A questo punto, Salvo D’Acquisto si autoaccusò quale unico responsabile dell’attentato e chiese la liberazione degli ostaggi. Questi furono rilasciati poco prima della fucilazione del giovane carabiniere da parte dei nazisti.
Nel rapporto del 25 gennaio 1945 n. 20/7-11 di protocollo riservato, inviato dal comandante della Legione di Roma al Comando Generale dell’Arma, si legge che la sera dell’esecuzione alcuni militari tedeschi, parlando con una giovane del luogo, affermarono che il sottufficiale era “morto da eroe, impassibile di fronte alla morte”.
Testimoni oculari dissero che “quantunque malmenato e a volta anche bastonato dai suoi guardiani, il D’Acquisto serbò un contegno calmo e dignitoso”. 


Un eroe qualunque. Un uomo che si è spinto fino all’estremo sacrificio per salvare altri uomini innocenti. Lo sentiamo ancora vicino, con il suo altruismo e il suo amor patrio anche a distanza di 76 anni.
Alla Memoria del vice brigadiere Salvo D’Acquisto il Luogotenente Generale del Regno, con Decreto “Motu Proprio” del 25 febbraio 1945, conferì la Medaglia d’Oro al Valor Militare”
Anna Maria Stefanini, insegnante

 

Oggi, 22 settembre, inizia l'autunno.

L' Equinozio d’Autunno ha una caratteristica particolare: è uno dei due giorni all’anno ( l’altro è l’Equinozio di Primavera ) in cui il giorno ha la stessa durata della notte.

Solo in quel momento la linea d'ombra che divide la zona della Terra illuminata dal Sole da quella in cui è notte taglierà contemporaneamente Polo Nord e Polo Sud.

Visto che le altre stagioni iniziano generalmente il 21 (marzo, giugno e dicembre) , alcuni credono che anche l'autunno inizi il 21, ma non è così.
L'equinozio d'autunno , il momento in cui, per il movimento di rivoluzione terrestre, il giorno è esattamente uguale alla notte, non cade infatti il 21 settembre. È da mille anni che questo evento astronomico non si verifica il 21: lo farà di nuovo solo nel 2092 e nel 2096.

Il momento in cui il giorno è esattamente uguale alla notte, arriva oggi, 22 settembre, precisamente alle 15:30.

Già, perché a differenza delle altre date che segnano il cambio delle stagioni (21 marzo, 21 giugno e 21 dicembre), la data convenzionale di inizio dell'autunno è fissata il 22 settembre e quest'anno viene rispettata, diversamente da quanto accaduto negli ultimi due anni, quando la stagione è entrata il 23 settembre.

La variazione della data dell'equinozio è legata al sistema di calendario gregoriano, introdotto da Gregorio XIII nel 1582 come correzione del calendario giuliano. Stabilito dal concilio di Nicea, la data fondamentale (sulla base della quale si calcola la Pasqua) è quella dell'equinozio di primavera, stabilita nel 21 marzo (ma può variare e più spesso cade il 20). In base a quella si calcolano gli altri.

Ma tale sistema non è perfetto: il nostro calendario divide un anno in 365 giorni, cioè circa un quarto di giro in meno di quanti la Terra ne compia su se stessa durante una rivoluzione completa attorno al Sole. La rivoluzione però dura 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 49 secondi.

La soluzione sono gli anni bisestili. Tutti sanno che ogni 4 anni, aggiungiamo un giorno, il 29 febbraio. Ma quel giorno non basta per riallinearsi.

Il nome deriva dal latino autumnus, o auctumnus, formato da auctus (participio di augere: 'aumentare, arricchire') e desinenza -mnos (dal greco μένος: desinenza propria dei participi medi e passivi), a significare la stagione ricca di frutta che segue l'estate e aumenta la ricchezza dei contadini.

Anna Maria Stefanini, insegnante 

 

 

L' autunno nei versi di VINCENZO CARDARELLI

Come varia il colore
delle stagioni,
così gli umori e i pensieri degli uomini.

Tutto nel mondo è mutevole tempo.

Ed ecco, è già pallido,
sepolcrale autunno,
quando pur ieri imperava
la rigogliosa quasi eterna estate. 

 

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