Le dottrine filosofiche dei Discepoli di Platone, ritenute obsolete nelle loro empiriche formulazioni, vengono fortemente contestate nel luogo deputato alle dissertazioni filosofiche, ovvero il Peripatos, privilegiando le istanze in cui Scienzame Natura sono entità in stretto nesso fra loro.

Il grande Alessandro riceve crisma culturale da Aristotele, macedone di patria e stagirita di nascita, e pur nella diversità di contrastanti e inconciliabili idee politiche, il Filosofo precettore nutre il giovane Re di ideali che sublimano la cultura greca e della superiorità intellettuale da riversare in alveo universale.

Il pensiero aristotelico è ammantato di riservato ermetismo, racchiuso in un Corpus di difficile interpretazione. Una nuova concezione teologica fluisce nella sua mente, fino ad individuare la somma perfezione in Dio attraverso la filosofia come scienza di rigenerazione del Divino. Lo scontro tra Realismo empirico di Aristotele e Iperrealismo platonico si traduce in netta divergenza di idee perché lo spirito dello Stagirita leva lo sguardo verso le umane vicende, per cui la vita è pura contemplazione, avulsa da desideri e da necessità, spaziando così nell’universo dopo aver analizzato ogni sfumatura. 

 

 

Aristotele si nutre di linfa platonica già dalla prima gioventù, ma ne rimane distante avendo Egli formazione sociale e politica forgiata dalle sue origini macedoni. Alle istanze classiche del modello ateniese antepone l’ideale cosmopolita e scientifico poiché la visione etica della vita lo induce ad indagare sulla conoscenza e sui fini da cui è motivata. Da ciò nasce il concetto gnoseologico dopo contezza che lo spirito umano ha capacità di conoscere mercè la forza della filosofia che stimola la virtù a valersi della ragione onde considerare le cose della vita sotto valenza etica e universale, per scoprirne viepiù l’unità superiore e avere una visione verso il particolare.

Grandioso è il suo pensiero sulla Giustizia, vista come virtù autonoma necessaria e come fondamento etico di un regno non virtuale ma reale grazie all’equità delle leggi “erga omnes”.

Dunque l’Etica pervade la Giustizia quale strumento di assoluto dominio sugli istinti e come moderatrice di atteggiamenti prevaricatori, specie quando la politica li avalla. Da matrice etica si generano le Virtù, da cui scaturisce la sapienza prerogativa dei soli filosofi, mentre ad una larga frangia di umanità è demandata una saggezza intrisa di prudenza.

La Logica, in quanto costola della Metafisica è una realtà soprannaturale che sovrasta tutto ciò che è fisico, dunque una scienza che supera la materia per porsi come chiave di lettura per la scoperta del giusto sapere e della verità. Per cui Metafisica e Logica s’identificano con la “Filosofia prima”, quale essenza immutabile di tutte le cose, volta alla ricerca della via maestra, ultima ed eterna meta, che attraverso lo studio della Teologia possa approdare a Dio. 

 

 

Secondo incerta ed empirica teoria, la Logica ha poliedrica aderenza al “formale” e al “materiale”, ma lo Stagirita rivisita e riordina il concetto dopo abiura delle “idee platoniche”, ovvero non esistono innate intuizioni ma la “cognitivo ex causa” risponde al criterio sensitivo.

Proprio dai sensi si diparte l’immaginazione pura, madre della possibilità di formulare i concetti senza oscure coltri ma chiari e intelligibili.

La teoria logica genera il sillogismo deduttivo che Aristotele pone come base di un meditato ragionamento, che affonda le radici nell’essenza mortale dell’uomo e nel sistema matematico della quantità. Tuttavia, nonostante la differente teoria della mortalità e immortalità dell’anima, Aristotelismo e Cristianesimo si coagulano nelle originali teorie del Filosofo Aquinate, ovvero quel S. Tommaso che medierà le due istanze di pensiero.

Franco Vetere 

 

 

ARISTOTELE, ALLIEVO E CRITICO DELLA FILOSOFIA DI PLATONE

 Per Platone solo la poesia è generatrice di pensieri buoni e belli del poeta che prende lo slancio da un divino entusiasmo che ferve nel suo intimo e che è dono del nume.

La poesia per Aristotele è fondamentale perché produce la realtà attraverso i sentimenti, le emozioni e le sensazioni del poeta.

Platone, inoltre, asserisce che l’anima è articolata in modo differente a seconda dei tipi d’uomo: l’anima razionale è propria degli uomini d’oro, la cui caratteristica principale è la ragione; l’anima irascibile è propria degli uomini d’argento mentre l’anima concupiscibile è propria degli uomini di ferro, legati ai beni materiali e sensibili.

Secondo Platone l’anima è pure immortale e, quando il corpo muore esso accede alla visione delle Idee, elevandosi prima di reincarnarsi in un altro corpo, senza però ricordare ciò che ha visto nel mondo delle Idee.

L’anima è, per Aristotele, la struttura stessa del corpo che guida il funzionamento dei suoi organi per mantenerlo in vita, e quando lo lascia diventa cadavere senza vita. Le funzioni dell’anima sono tre: vegetativa, sensitiva ed intellettiva e quest’ultima, dotata di pensiero e volontà, è superiore alle altre e svolge anche le loro funzioni inferiori.

Tutte queste differenze non devono far pensare ad una contrapposizione netta fra Aristotele e Platone. Aristotele, pur andando oltre Platone, nel suo impianto filosofico reca forti eredità del maestro e analogie sostanziali.

Espressamente, all’ipotesi dell’esistenza di atomi in continuo divenire nel vuoto, sostenuta da Democrito, si contrappose il pensiero di Platone e in seguito quello di Aristotele. Platone nega l’esistenza del vuoto ed anche Aristotele, allievo di Platone, è attratto dall’ordine cosmico come il suo maestro e nel suo schema ordinato e simmetrico dell’universo, formato da una serie di sfere concentriche sulle quali sono collocati i pianeti, non c’è spazio per il vuoto e gli atomi di Democrito.

Sulle analogie sostanziali fra Platone e Aristotele la cultura occidentale, approfondendo e reinterpretando l’opera di questi due maestri in ambito specificatamente filosofico, ha avvicinato questi due giganti della filosofia sottolineando come l’impostazione generale del pensiero aristotelico sia debitrice dell’essenzialismo del maestro Platone, che rappresenta il loro concetto base comune.

In sostanza, i due pensatori vengono accomunati dal ricorso di entrambi all’intuizione intellettuale per ottenere ogni conoscenza che deve fondarsi sull’essenzialismo che è la ricerca dell’essenza e della sostanza delle cose che costituiscono la realtà naturale: il mondo che ci circonda, nel quale noi stessi viviamo e del quale siamo parte.

Antonio Aiello

 

La vita dell’Ellade è cadenzata da momenti differenti, come se la sua alba fosse rischiarata dal mitico Orfeo, seguito da Pitagora quale sacerdote di un sacro meriggio di rinascita culturale, mentre Platone è il prescelto Tedoforo del crepuscolo ellenico.
Il Discepolo di Socrate vive la leggiadria della sua Città natale nell’estasi della sua giovinezza, fino a quando foschi presagi di esecrabile guerra fratricida fra le due potenti Poleis non hanno certezza. Pur nel dolore della sua Patria, ferita dalla protervia spartana, non perde la sua sensibile mitezza che s’innesta nel profondo dell’animo mercè una decisa fermezza caratteriale. 


La ricerca di un’eterea estetica verso le Arti e il Creato, lo spinge verso una visione di Bello assoluto, permeata dall’armonia che circonfonde l’universo. La filosofia socratica lo affascina, e il suo pensiero si intride di nuove idee, mutuate dal sommo Maestro e in contrasto con i vaniloqui sofistici. Impressa nella sua mente e scolpita nel suo cuore resta la struggente morte del Maestro, il cui retaggio spirituale e culturale rimarrà in lui indelebile nel tempo. Ciò sarà consacrato nelle sue memorie apologetiche e nelle righe del Critone, quali pietre miliari di una vita non inutile ma virtuosa, con la certezza di sciogliere il precario dilemma tra il vivere e morire.
Nella Terra bagnata dal Nilo, volontariamente appartato in filosofico asceterio, segue le tracce lasciate dal grande Pitagora attraverso il suo lascito di illuminato percorso iniziatico, avulso però dal calcare il sentiero del mistero. Luogo deputato alla ricerca della Verità è il solenne auditorium dell’Accademia, dove i suoi Dialoghi hanno la forza non di sviare ma di stimolare le menti dei giovani astanti.
Antepone alla teoria pitagorica dei Tre Mondi quella del Mondo della Triade di Idee, quali intermediarie fra Immanenza e Trascendenza e ordinate in piramidale gerarchia, alla cui sommità le Idee sovrastano il tutto come il Bene nel concetto divino. Il Mondo delle Idee si proietta oltre l’essenza sensoriale verso una realtà che alberga al di là del mondo visibile e della materia, ovvero nell’Iperuranio.
Nell’ideale platonico si coagulano Poesia etica e Filosofia, supportate da un forte senso di intima rinascita, innervata da innato plasma iniziatico. Il Mito, anche attraverso la tradizione dei Misteri eleusini, a cui fu iniziato, diventa la base dottrinaria per la sua intuitiva e realistica filosofia. 


Mediante semantica intuitiva cerca di chiarire l’essenza dell’essere secondo certezza sperimentata con l’esperienza generata dai concetti. Il grande Filosofo affronta con determinato cipiglio le finalità dell’Arte, che può approcciarsi al bello solo se l’artista diventa il demiurgo di essa, rivestendola di anima sensibile per sempre rinverdire l’armonica visione offerta dall’universo.
La Conoscenza è divisa in sensibile e intelligibile, ma mentre la prima è fine a sé stessa, la seconda invece s’identifica con la Scienza, che rappresenta il vero sapere. Virtù e Conoscenza si determinano solo se temperate dalla Scienza e dal sapere soggettivo, dopo averne scientemente analizzato le cause. La Summa del pensiero politico platonico è racchiusa nello scritto che fa della Repubblica l’Opera maior di tutta la sua filosofia, in cui chiaramente delinea le basi di una civile vita condivisa.

 

IL MITO della CAVERNA

La sublimazione del Mito, trova nell’esaustivo significato della Caverna, esplicativa nuova conoscenza mediante una completa ed espressiva simbologia massonica.
Interpretazione del Mito della caverna platonica: “Fondamento di conoscenza per la decodifica allegorica del pensiero platonico è la teoria della Conoscenza e dell’Educazione che nel Mito della caverna, quale costola esplicativa e imprescindibile della struttura intellettiva della “Repubblica” di Platone, impone una chiave di lettura che solo nella scienza esoterica può trovare risposta.
Nella narrazione metaforica del Mito……. Si conforma una sostanza descrittiva che si innesta nel controverso aspetto fra Mondo visibile” e “Mondo invisibile”, in cui nel primo si materializzano figure concrete di immagini e oggetti, di contro al secondo che manifesta una virtuale apparenza dove vince l’essenza delle idee.
In questo fantastico mondo di una caverna si materializzano individui incatenati e con le terga rivolte verso un pertugio da dove filtra la luce, in modo che lo sguardo venga coattivamente proteso verso il fondo oscuro dell’antro dove sfumate immagini vengono riflesse sulle brumose pareti, sforzando il pensiero ad interpretare una capziosa ed apparente realtà, offuscata dalle tenebre dell’ignoranza, avendo costoro preclusa la fonte solare della conoscenza, nella imposizione a non recepire la vera essenza della realtà perché costretti a viverla nell’inganno”. 

Franco Vetere

 

Nota dell’Autore

Particolare ringraziamento va allo studioso Antonio Aiello, per il suo proficuo contributo culturale nella stesura di saggi critici su argomenti di varia natura letteraria. 

 

Brevi notizie biografiche su Franco Vetere

Docente emerito dei Licei, è uno studioso di grande valenza, acuto scrittore, poeta, saggista e critico letterario. I suoi commenti in prosa e versi sono stati apprezzati in molte manifestazioni culturali, vergati e declamati con grande afflato, carico e denso di grande significato e di “sentimento”. È autore delle seguenti sillogi poetiche: Lo sguardo e la memoria, Saggio poetico di storia umana, Eroi in poesia, Lirici Greci e Latini; Saggi in prosa: Apocalisse e Cristo, Hermetica, Egittologia, Theologica, Religioni orientali, Monachesimo illuminato, Boheme e Scapigliatura, Saggio letterario sul primo 900, Autori stranieri dell’800, Gli Evi della Letteratura italiana; Silloge di pensieri sparsi. Le opere citate sono state da me commentate secondo il percorso tracciato dall’autore.

(Antonio Aiello

 

Persephone, figlia di Demètra (o Cèrere, divinità terrestre delle messi dorate, cioè dell'agricoltura) e moglie di Ades (o Plutone, re del mondo dei morti), trascorreva un periodo dell'anno presso la madre e l'altro nel regno delle ombre.
Prima di diventare signora dell'Oltretomba, dimorava con la madre in Sicilia, dove era stata notata da Ades, che l'aveva voluta sposare. Un giorno Ades, uscendo alla luce del sole, vide Persephone che si godeva la frescura di un bosco appartato, tutto cosparso di viole e di candidi gigli; era accompagnata dalle Ninfe (divinità femminili delle fonti e delle acque), che a gara raccoglievano fiori profumati per farne corone e ghirlande. Persephone, più brava delle altre, aveva già riempito alcuni cestini con fiori e altri ne aveva messi nel lembo della veste. Ades, innamorato di Persephone, la rapì e, trascinatala sul suo cocchio dorato, spronati i veloci cavalli neri come la notte, la portò nel suo palazzo. Piansero le Ninfe e portarono la cattiva notizia a Demètra, che, nella speranza di ritrovare la figlia, dimentica delle sue funzioni e dei suoi compiti, vagò di terra in terra, invocandone il nome. Alla fine si rivolse a Zeus (o Giove, re degli dèi) perché intervenisse preso Ades e lo inducesse a restituirle Persephone.

 


Nel frattempo la natura, trascurata dalla dea, era diventata triste: i fiori erano appassiti, le piante non avevano più le loro belle foglie verdi, i frutti non maturavano, le messi non imbiondivano. Tutto sembrava preso da un sonno simile alla morte. In un primo tempo Ades non volle saperne di mandare Persephone sulla terra. Ormai essa era diventata la regina depositaria dei segreti del mondo sotterraneo. Ma, alla fine, la volontà di Zeus vinse ogni resistenza: Persephone sarebbe stata per sei mesi nel regno delle ombre e per gli altri sei sulla terra, presso la madre Demètra. Ogni anno, quando Persephone ritorna sulla terra, la natura si riveste del suo abito più bello: sbocciano i fiori profumati, rinverdiscono le piante e i campi e un dolce zefiro soffia leggero trasportando profumi odorosi. E' la gran festa della natura, la sua ripresa, la vita fervente che accompagna il rinnovarsi del ciclo delle stagioni.

Giuseppe Pizzuti, docente

 

 

 

 

 

di Franco Vetere

Ancor giovane proficuamente dialoga con Talete per scoprire i nuovi orizzonti e il nesso che li lega al Tutto nella ricerca delle metafisiche Verità e nella conferma delle finalità della vita.
Lo affascinano le teorie atomistiche di Democrito, vaganti in un indefinito spazio dove il caos regna sovrano mentre gli atomi, nel loro incessante moto, coagulandosi danno origine alla materia e al genere umano.
In terra d’Egitto forgia la sua anima mistica, pervasa da un caldo empito che freme nel suo Io allorquando contempla la Natura, aspirandone i penetranti effluvi dopo rapita estasi sotto la volta stellata. Il mistero dell’anima si compenetra in Essa nella fusione dell’Acqua e del Fuoco e nell’ineluttabile legge di Nascita e Morte, uniti nel dominare le tenebre dell’ignoranza per diradare i dubbi che avviluppano il mistero della vita attraverso un lineare percorso intellettivo.
Lo spazio immenso del Firmamento trova ragion d’essere nel moto degli atomi e degli astri, divisi in mondi, la cui armonia è retta da un Numero. In tre Mondi si compenetrano i regni del Naturale, del Divino, dell’Umano, e in questa Triade risiede la Legge ternaria e la Legge dei numeri, che in simbiosi danno moto ai pianeti, secondo un equilibrio regolato dai Numeri. Da ciò ne consegue che Micro e Macrocosmo si integrano perchè l’uno è complementare all’altro nel dramma cosmico.
È proprio adesso che lo spirito del Filosofo-Matematico trova irrefragabile contezza nell’affinare la sua intelligenza per approcciarsi alla Verità cosmica.
Nella Terra nutrita dal Nilo tempra la sua anima attraverso la prova iniziatica, ammantata di arcana e misteriosa Teurgia che lo guiderà ad oltrepassare la paura della morte. La sapienzialità egizia permea la sua filosofia di sacralità matematica, fondata sulla scienza dei numeri e su nuovi principi universali sotto l’egida di Osiride. Ma, a Delfi rigenera la scienza apollinea e la dottrina mantica o stasi profetica, di cui Apollo ne è il divino ispiratore. 


La Magna Grecia, quale terra promessa della cultura ellenica in costante evoluzione, lo accoglie da neofita di originale filosofia esoterica, per consacrarlo, poi, demiurgo di quella gioventù crotoniate, avida di conoscere nuove istanze di liberale pensiero in un ambito riservato, quasi avulso dall’esterno.
Il Tempio delle Muse accoglie gli adepti in selettivo cenobio, gestito dall’austero e sacro Maestro, che con dura e severa disciplina tarpa le ali a coloro non degni di osservare le norme di vita iniziatica.
Talia la Musa del Silenzio, è simbolo di inflessibile regola per i neofiti, istruiti al solo ascolto, ma non alla parola. Il Dies aureus coincide con l’approccio alle Scienze matematiche ed alla dottrina dei Numeri, su cui domina Dio, supremo Uno dell’ordine cosmico, che include la grande immanenza dell’Infinito. Monade e Diade sono figlie della Teogonia, in cui i numeri diventano corollari di Verità infinita, plasmata dalla divina e perfetta Tetrastila, generata dalla Triade che fluisce fino al numero Dieci. La Cosmologia svela il mistero della genesi storica della Terra e dunque della storia dell’anima che si rifrange nella Metempsicosi.
L’acustica svela la proprietà dei Numeri nel sistema matematico-geometrico, grazie alla melodia delle pause musicali, che i suoi Epigoni riverseranno nel Tutto.
I numeri dispari, nella scienza pitagorica, rappresentano la configurazione di una cosmica perfezione, mentre i numeri pari rappresentano il caos e non la perfezione. Entrambi si uniscono in un climax piramidale che dà origine alla Tetraktis, quale simbolo di perfetta concatenazione di numeri. 

 

Nota dell’Autore
Particolare ringraziamento va allo Studioso Antonio Aiello, per il suo proficuo contributo culturale nella stesura di saggi critici su argomenti di varia natura letteraria.

 

Brevi notizie biografiche su Franco Vetere
Docente emerito dei Licei, è uno studioso di grande valenza, acuto scrittore, poeta, saggista e critico letterario. I suoi commenti in prosa e versi sono stati apprezzati in molte manifestazioni culturali, vergati e declamati con grande afflato, carico e denso di grande significato e di “sentimento”. È autore delle seguenti sillogi poetiche: Lo sguardo e la memoria, Saggio poetico di storia umana, Eroi in poesia, Lirici Greci e Latini; Saggi in prosa: Apocalisse e Cristo, Hermetica, Egittologia, Theologica, Religioni orientali, Monachesimo illuminato, Boheme e Scapigliatura, Saggio letterario sul primo 900, Autori stranieri dell’800, Gli Evi della Letteratura italiana; Silloge di pensieri sparsi. Le opere citate sono state da me commentate secondo il percorso tracciato dall’autore.
(Antonio Aiello

di Franco Vetere

Il termine “Ermetico” è mutuato dalla dottrina magico-misterica, sorta nell’antico Egitto in onore del mitico sacerdote Ermete Trismegisto, con caratteri di ancestrale pratica iniziatica, strettamente riservata ad uno sparuto gruppo elitario.
Di primo acchito la critica letteraria usa una chiave di lettura con negativi parametri, equiparando il nuovo modo di poetare come se fosse avvolto da una brumosa coltre di semantica oscurità, poco comprensibile per una chiara interpretazione. Per i Poeti ermetici, invece, il muoversi nel sentiero nebuloso di criptici versi diviene imprescindibile esigenza per entrare in un ritrovato alveo di novella realtà. Essi esaltano un diverso metodo letterario di far poesia, fermamente legato al problema esistenziale che estrapoli da quell’umanità un senso diverso di sopravvivere, sorpassando quei canoni ancora fermi ad ancestrali criteri mentali, di certo anacronistici.
In questo humus si forma la forte personalità di Salvatore Quasimodo, autore non propriamente amato dalla critica ma obiettivamente pervaso da forte amore per sua terra di Sicilia, il cui paesaggio è ancora impresso nella sua fanciullezza, vissuta nell’incanto ancora vivo di un’innocenza che lo lega alle cose di primo approccio con i sentimenti. Da ciò la musicalità che intride i suoi versi attraverso la fascinosa visitazione dei luoghi che viepiù fluiscono nella sua mente come un placido fiume che scorre con regolare cadenza.
La grecità classica, espressa nella poesia dei grandi Aedi, lo affascina e lo porta a vivere quei momenti che hanno connotato l’Ellenismo siculo attraverso lo splendido evo della loro presenza. L’evocazione del sogno ellenico suscita nel Poeta una struggente sensazione allorquando il suo canto poetico si sofferma sull’antica Tindari, la cui storica anima è ancora viva nella memoria di tutti, e che ancora veleggia sulle ali di una dolce brezza di zefiro, generata dalle sponde della madre Grecia. Così l’incipit di “VENTO a TINDARI”: Tindari, mite ti so fra larghi colli pensile sull’acque dell’isole dolci del Dio, oggi m’assali e ti chini in cuore. Salgo vertici aerei precipizi, assorto al vento dei pini….s’allontana nell’aria onda di suoni e amore…. 

La lirica tindarica rappresenta la base dell’Ermetismo che il Poeta eleva ai livelli più alti mediante una melodia di versi che si riversa direttamente nell’anima. Una ricerca del tempo e nel tempo che rievoca la “recherche du temp perd” di Marcel Proust, quale mezzo per stimolare la memoria a rivivere il proprio vissuto nella realtà del presente. A ciò si presta Tindari, luogo della sua giovinezza, pervaso da fascinoso ricordo, in armonioso connubio con la natura, e dove vive, incontaminata, la presenza di una civiltà, il cui lascito culturale sfida l’oblio del tempo. E qui che si fondono Mito e Poesia, sulla scia di una smarrita felicità che incide fortemente nell’essenza dell’anima alla riscoperta del valore dell’Io vitale.


BREVI NOTIZIE BIOGRAFICHE FRANCO VETERE
Docente emerito dei Licei, è uno studioso di grande valenza, acuto scrittore, poeta, saggista e critico letterario. I suoi commenti in prosa e versi sono stati apprezzati in molte manifestazioni culturali, vergati e declamati con grande afflato, carico e denso di grande significato e di “sentimento”. È autore delle seguenti sillogi poetiche: Lo sguardo e la memoria, Saggio poetico di storia umana, Eroi in poesia, Lirici Greci e Latini; Saggi in prosa: Apocalisse e Cristo, Hermetica, Egittologia, Theologica, Religioni orientali, Monachesimo illuminato, Boheme e Scapigliatura, Saggio letterario sul primo 900, Autori stranieri dell’800, Gli Evi della Letteratura italiana; Silloge di pensieri sparsi. Le opere citate sono state da me commentate secondo il percorso tracciato dall’autore.
(Antonio Aiello

 

 

NON GRIDATE PIÙ di Giuseppe UNGARETTI: “Cessate di uccidere i morti. Non gridate se li volete ancora udire, se sperate di non perire. Hanno l’impercettibile sussurro, non fanno più rumore del crescere dell’erba, lieta dove non passa l’uomo"

 

COMMENTO CRITICO
Amarezza e pessimismo si fondono in un climax ascendente di perentori imperativi che impetrano la cessazione di qualunque violenza morale dopo avere perpetrato quella fisica in una disumana guerra frutto del livore e della prevaricazione che gli uomini riversano l’uno sull’altro anche quando sono cessate le diatribe guerresche.
Il ricordo dei morti viene così nuovamente ucciso generando una idiosincrasia che annulla quella corrispondenza tra vivi e defunti.
Uno spirito foscoliano aleggia negli amari versi del Poeta pur avvinti solo da una larvata affinità ma non afferenti a quegli ideali tipici di due diverse realtà storiche. Se nel pensiero foscoliano serpeggia un forte intento nazional-patriottico di contro in Ungaretti le motivazioni che risaltano nei suoi versi sono essenzialmente morali e civili. Ergo il Poeta de “In Sepolcri” eleva a sublime sentimento la “corrispondenza di amorosi sensi” mentre Ungaretti ripone nella ragione e incita a servirsi di questa onde oscurare lo spettro disonorevole di un altro folle conflitto.

 

BREVI NOTIZIE BIOGRAFICHE FRANCO VETERE
Docente emerito dei Licei, è uno studioso di grande valenza, acuto scrittore, poeta, saggista e critico letterario. I suoi commenti in prosa e versi sono stati apprezzati in molte manifestazioni culturali, vergati e declamati con grande afflato, carico e denso di grande significato e di “sentimento”. È autore delle seguenti sillogi poetiche: Lo sguardo e la memoria, Saggio poetico di storia umana, Eroi in poesia, Lirici Greci e Latini; Saggi in prosa: Apocalisse e Cristo, Hermetica, Egittologia, Theologica, Religioni orientali, Monachesimo illuminato, Boheme e Scapigliatura, Saggio letterario sul primo 900, Autori stranieri dell’800, Gli Evi della Letteratura italiana; Silloge di pensieri sparsi. Le opere citate sono state da me commentate secondo il percorso tracciato dall’autore.
(Antonio Aiello

 

INCONTRO di Eugenio Montale:
“Tu non m’abbandonare mia tristezza
sulla strada
che urta il vento forano
co’i suoi vortici caldi, e spare; cara
tristezza al soffio che si estenua: e a
questo,
sospinta sulla rada
dove l’ultime voci il giorno esala
viaggia una nebbia,
alta si flette
un’ala
di cormorano".

 

COMMENTO CRITICO 
Profondo è il pessimismo del Poeta che vieppiù emerge nelle righe di questa lirica che abbandona una linea soggettiva di disagio esistenziale per approdare ad una visione non più estenuante di decadenza morale e di incapacità di riportarsi al mito dell’età esistenziale ma accettare una comune concezione del vivere pur nella contezza di precaria crisi della storia del tempo e dei valori universali.
In tal modo il triste rimpianto di una latente pena diviene pesante viatico di un vissuto dove “il male di vivere” s’insinua passivamente nell’anima. Il malessere psicologico del Poeta si compenetra nella caotica angoscia in cui è costretta a vivere l’umanità cittadina immersa nello squallore della quotidianità priva di fini da perseguire. La tristezza impera sovrana lasciando un vuoto profondo ad un’esistenza già vuota che si disperde nelle folate ventose e nella coltre di fitta nebbia.
Flebile speranza di redenzione è riposta nella vis dell’amore attraverso un “incontro” che possa lenire il pessimismo dell’anima onde oltrepassare il limite dell’essere. 

 

BREVI NOTIZIE BIOGRAFICHE FRANCO VETERE
Docente emerito dei Licei, è uno studioso di grande valenza, acuto scrittore, poeta, saggista e critico letterario. I suoi commenti in prosa e versi sono stati apprezzati in molte manifestazioni culturali, vergati e declamati con grande afflato, carico e denso di grande significato e di “sentimento”. È autore delle seguenti sillogi poetiche: Lo sguardo e la memoria, Saggio poetico di storia umana, Eroi in poesia, Lirici Greci e Latini; Saggi in prosa: Apocalisse e Cristo, Hermetica, Egittologia, Theologica, Religioni orientali, Monachesimo illuminato, Boheme e Scapigliatura, Saggio letterario sul primo 900, Autori stranieri dell’800, Gli Evi della Letteratura italiana; Silloge di pensieri sparsi. Le opere citate sono state da me commentate secondo il percorso tracciato dall’autore.
(Antonio Aiello

 

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